57 Food&Beverage | novembre 2020 SPECIALE Èvero che le bollicine sono sempre più consumate per l’aperitivo o a tutto pasto, ma il loro legame con il far festa permane ed è ancora molto forte a giudicare dalla diminuzione dei consumi nel semestre Covid-19 (marzo-agosto 2020) in cui si è verificata una contrazione senza precedenti del commercio mondiale di vino. Nei Paesi extra-Ue il valore degli scambi complessivi di vino -secondo le recenti elaborazioni dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor su base dogane- ha subito un calo del 15,2%, con una perdita equivalente di circa 1,4 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E in questo preoccupante quadro le bollicine hanno subito il decremento più significativo (-28,8%) perdendo quote in tutti i primi dieci mercati di importazione che rappresentano il 92% del mercato extra-Ue. E, in effetti, durante il lockdown, che ha coinvolto tutto il mondo, c’era poco da festeggiare. Nel 2019 produzione di spumanti italiani -secondo le stime di Ismea, che monitora sistematicamente le Denominazioni più significative per volumi- ha superato i 760milioni di bottiglie con un incremento dell’8% che ha compensato la minor importazione (-14%). La “galassia Prosecco”, con la Doc e le Docg Conegliano Valdobbiadene Superiore e Asolo Superiore, ha un peso determinante, mentre l’Asti perde mercato e volumi e i metodo Classico crescono con in testa il Franciacorta seguito dal Trentodoc, rispettivamente con 130 mila e quasi 80 mila ettolitri. La domanda estera di spumante italiano ha superato i 4 milioni di ettolitri (+8%) per un incremento in valore del 5%. A trainare le esportazioni nel 2019, come anche quest’anno, è stato il Prosecco, con il 65% dell’intero export di spumanti a volume, in crescita del 21%, mentre tutti gli altri a Denominazione hanno subito un ridimensionamento, pesante nel caso dell’Asti (-10%). Sono cresciuti anche i consumi interni. Nella Gdo le vendite sono cresciute dell’8% e solo del 6% a valore, ma più del settore vino nel suo complesso (1% a volume, 3% a valore). Guardando il dettaglio dei volumi delle diverse tipologie, i vini da metodo italiano (Charmat) non dolci, tra cui essenzialmente il Prosecco, hanno registrato un +14%, mentre quelli dolci, a cui afferisce l’Asti, sono a -5%. I metodo Classico hanno guadagnato il 2%, a fronte di una quota di mercato limitata (8%) e lo Champagne ha perso il 3%. Variazioni che fotografano i gusti dei consumatori italiani di bollicine, ma poco dicono dell’evoluzione nel settore negli ultimi decenni in cui c’è stato un acculturamento sulle bollicine sia da parte dei produttori, sia dei consumatori. Un tentativo graduale di affrancarsi dal modello dello Champagne. Questo in estrema sintesi il punto di arrivo dell’analisi sull’evoluzione della spumantistica italiana negli ultimi decenni di Francesco Iacono, agronomo ed enologo di esperienza con alle spalle l’attività di ricerca all’allora Istituto di San Michele all’Adige (Tn), la direzione generale di un importante Gruppo vitivinicolo basato in Franciacorta e, dal 2018, alla guida dell’Organizzazione nazionale Assaggiatori di Vino-Onav. Ricorda Iacono: “Alla fine degli anni ’90 veniva raccontato dai tecnici e interpretato dai consumatori che le bollicine dovessero essere prodotte da vini base con acidità elevata raccogliendo le uve precocemente, per poi ‘sistemarne’ l’equilibrio alla sboccatura grazie all’aggiunta della liqueur. Così, all’epoca, il 98% dei metodo Classico italiani era brut (con un residuo zuccherino da 6 a 12 grammi per litro, ndr ) e questo creava una comunicazione ondivaga: si promuovevano le bollicine sottolineando come fossero adatte ad accompagnare tutto il pasto, pur non essendo il dosaggio di zucchero più diffuso, il brut, adeguato allo scopo. Comunque, gradualmente, è stato introdotto il concetto che lo spumante metodo Classico sia un vino a tutti gli effetti, a tutto tondo. Dunque, la ricerca spasmodica dell’acidità a scapito della maturazione non risulta più necessaria. Si passa dal raccogliere uve acerbe a vendemmiare grappoli maturi e uve equilibrate. Ritorna il valore della vocazionalità territoriale, degli ambienti pedoclimatici in cui si producono In calo l’era del tutto Brut piace il dosaggio zero. I produttori cercano interpretazioni più personali, forti anche di una crescita professionale e di una maggior cultura delle bollicine dei consumatori che le apprezzano sempre di più anche a tutto pasto Clementina Palese La pandemia con la chiusura di bar e ristoranti in molti Paesi ha lasciato un segno profondo nel mondo del vino che paga anche il calo del turismo internazionale. Il valore degli scambi complessivi è diminuito del 15,2%. In questo triste scenario le bollicine, causa anche i pochi motivi per festeggiare, lasciano sul terreno il 28,8% Lo spumante in crescita va verso il pas dosé
RkJQdWJsaXNoZXIy NTUwOQ==