96 Food&Beverage | dicembre 2020 Si chiamano nello stesso modo, ma sono profondamente diversi: sono hamburger, bistecca, salsiccia, salame, bresaola, mortadella, ecc... di origine animale e vegetale. E dopo il recente pronunciamento dell’Europarlamento, che ha bocciato gli emendamenti presentati per bloccare l’uso di denominazioni ritenute ingannevoli, continueranno a portare lo stesso nome a scapito della trasparenza dei prodotti alimentari che, a prescindere da quanto dichiarato in etichetta, dovrebbe partire dal nome. Eppure, nel 2017, per i derivati del latte la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che i prodotti di origine non animale non possono avere la dicitura “latte”, “yogurt”, “formaggio” o “burro”, tant’è che, ad esempio, quello che continuiamo erroneamente a chiamare “latte di soia” in etichetta riporta “bevanda a base di soia” o diciture simili. La differenza, come per i derivati del latte, è evidente anche per le preparazioni da carni animali e vegetali -a base di soia, lenticchie, ceci, piselli, spezie, succo di barbabietola, oli vegetali, ecc…- per i quali all’uso di termini “impropri” si aggiungono strategie di marketing che inducono confusione, presentandoli come del tutto equivalenti. Comprensibilmente, e fatto salvo il diritto dei consumatori di scegliere i prodotti che preferiscono, le imprese della filiera dell’allevamento italiano sono, per usare un eufemismo, contrariate. Il giro d’affari dell’industriamondiale della “carne a base vegetale” nel 2019 era stimato in 11,1 miliardi di dollari, in crescita del 15,8% all’anno, e in 35,4 miliardi di dollari nel 2027 (dati Polaris Market Research). È la risposta al continuo aumento di persone che non consumano carne per rispetto degli animali e, sempre più, per ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti e non per “questioni di gusto”. Ecco quindi che rincorrere le sembianze e il gusto della carne vera è diventato indispensabile. Il caso più evidente è quello dei veggy burger in cui l’ultima frontiera per simulare l’omologo di carne -succo di barbabietola a parte- è l’utilizzo di un “sangue vegetale” che esce al taglio e conferisce un sapore metallico simile al ferro analogo a quello della carne. Si tratta della legemoglobina, una proteina vegetale dalle proprietà simili all’emoglobina e alla mioglobina della carne. Può essere prodotta dai batteri nei noduli delle radici della soia, oppure da un lievito geneticamente modificato che permette di produrla riducendo l’impatto ambientale e in particolare il consumo di acqua. E su questo terreno si è consumata la conquista del mercato europeo tra la Nestlè, che ha avuto la meglio, e la start up statunitense Impossibile Foods che, a causa dell’uso di legemoglobina artificiale, attende dall’Efsa, l’autorità di sicurezza alimentare europea, l’autorizzazione al commercio. L’Europarlamento ha autorizzato l’utilizzo delle denominazioni relative alla carne anche per i prodotti vegani. No al latte di soia, sì alla bresaola di lupini. Il mondo della carne non la prende bene Clementina Palese VERITÀNASCOSTE Hamburger e veggie burger il vegetale si mimetizza
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