N°137 Settembre Ottobre

82 Food&Beverage | settembre-ottobre 2021 Bevanda dall’origine incerta, nata in Cina o in Giappone, dal riso più volte fermentato, ben si presta all’utilizzo in cucina. Per la marinatura del calamaro, come propone lo chef Masahiro Homma, o aggiunto nel fondo di cottura del maialino di Alessandro Proietti Refrigeri Elena Bianco Il sorprendente sake nel cichéto giapponese SFIZIOFOOD Immancabile in tutti i brindisi giapponesi, il sake (o nihonshu 䞂, cioè alcol giapponese) ha un linguaggio sorprendentemente simile a quello del vino: terroir, fermentazione, invecchiamento, abbinamento ai cibi. Eppure questa bevanda ha una categoria tutta sua. Gli ingredienti sono riso, acqua e il fungo aspergillus oryzae, il koji (哩), che è il principale responsabile della fermentazione e della saccarificazione del riso. Davvero pochi, per una bevanda che può raggiungere una complessità aromatica e di note in bocca notevoli. Il sake, d’altro canto, non ha un’origine chiaramente documentata, ma un’ipotesi accreditata lo fa risalire all’area del Fiume Azzurro, in Cina, nel quinto millennio avanti Cristo, da dove sarebbe arrivato in Giappone nel terzo secolo a.C., con l’avvento della coltivazione del riso in umido. Altri, invece, sostengono che tutto sia partito dall’area del Fiume Giallo, durante il periodo di regno della dinastia Shang (dal XVII al XI secolo a.C.). Un’altra teoria, infine, fa risalire le origini del vino di riso al terzo secolo d.C. direttamente in Giappone. Nel testo storico cinese Cronache dei tre regni, nel Libro di Wei, si parla infatti del popolo giapponese che danza e beve alcol. Con l’inizio della coltivazione del riso in umido, infatti, fermentazione e muffe avrebbero avuto vita facile. Ne risultò, con l’aggiunta di castagne, miglio e ghiande, il primo sake. Venne chiamato kuchikami no sake (ਓಋȔȃ) o “sake masticato in bocca”, perché gli ingredienti venivano masticati e sputati in un contenitore: la ptialina e gli altri enzimi della saliva facevano saccarificare gli amidi convertendoli in zuccheri. Se l’idea risulta piuttosto raccapricciante, va aggiunta una nota “gustosa”: pare che il migliore fosse quello prodotto da giovani ragazze vergini. La masticazione era in ogni caso essenziale. Sicuramente il risultato non è quello che oggi noi apprezziamo, ma lo stesso processo di masticazione si ritrova anche nella preparazione della chicha sudamericana, bevanda alcolica preparata dal mais. Il sake che degustiamo è nato molto probabilmente insieme alla scoperta del koji nell’VIII secolo d.C., durante il periodo Nara. Lo stesso fungo sarebbe stato usato in seguito anche per la preparazione di amazake, miso, natto e salsa di soia, abbandonando -grazie al cielo- la masticazione. Il riso trasformato dalla muffa viene chiamato kome-koji (㊣哩, riso di malto). In seguito all’aggiunta dello shubo (䞂⇽, lievito) gli zuccheri presenti nel composto si convertono in etanolo e il tasso alcolico del sake sale sensibilmente (18%-25% per volume). Qui sta la differenza tra il sake e le altre bevande alcoliche, in quanto il riso subisce contemporaneamente più di una fermentazione, a differenza di vino e birra, dove la fermentazione è più lenta e il volume di alcol massimo è inferiore (circa 15%). Col passare del tempo il sake divenne sempre più raffinato e di qualità e raggiunse una popolarità tale che fu istituito un organismo per la sua preparazione addirittura nel palazzo imperiale di Kyoto, l’antica capitale dell’impero giapponese. Questo significava la creazione di una nuova figura professionale per la preparazione del sake, il WďML (ᶌ∿). Oggigiorno il WďML è molto rispettato nella società giapponese, né più né meno come un artista di livello. “Prova centinaia di cose e fa migliaia di miglioramenti”. Questo il motto di SanzaburoMiura, uno dei grandi WďML che viveva a fine ’800 nel villaggio di Akitsu nella prefettura di Hiroshima, luogo di eccellenza del sake. Miura-san rivoluzionò il metodo produttivo utilizzando l’acqua povera di minerali di Hiroshima ottenendo un sake di grande qualità: il ginjo-shu, che fu primo al First Nation-wide Contest del 1904 e divenne famoso in tutto il Paese. Prima di Sanzaburo Miura il sake veniva prodotto con acqua dura, ricca di minerali. L’acqua dolce di Hiroshima, invece, è molto più sensibile alla contaminazione batterica e per ovviare al problema di una fermentazione incontrollata Miura-san mise a punto la tecnica della fermentazione prolungata a bassa temperatura: con questa innovazione gli Akitsu-toji furono considerati i migliori maestri produttori. Niente viene lasciato a caso, men che meno lo sakamai, il riso. I mastri del sake lavorano con i L’affermazione del sake è passata attraverso i secoli fino a quando fu istituito un organismo per la sua preparazione nel palazzo imperiale di Tokyo. Per l’occasione venne anche creata una nuova figura professionale, il toji, che oggi gode di grande rispetto nella società al pari di un artista di livello

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