N°137 Settembre Ottobre

94 Food&Beverage | settembre-ottobre 2021 Fede Galizia, la “mirabile pittoressa”, come la definisce Carlo Torre nel 1674, finalmente in mostra in uno dei luoghi più suggestivi nella terra di cui era originaria la sua famiglia, il Castello del Buon Consiglio, a Trento. Il padre Nunzio, pittore di miniature, costumi, accessori e cartografia, era trentino, ma si trasferì a Milano per lavoro. Fede Galizia visse nel capoluogo lombardo e fu tra le più importanti pittrici che vi operarono tra gli anni Settanta del Cinquecento e gli anni Trenta del Seicento, tanto da decidere di non sposarsi mai per potersi dedicare completamente alla sua arte. Figlia, quindi, ma anche nipote d’arte, aveva appreso in bottega il fare pittorico, tanto che già a dodici anni era considerata artista a tutti gli effetti dal pittore e teorico d’arte Gian Paolo Lomazzo. La mostra Fede Galizia mirabile pittoressa vuole rendere omaggio al suo stile che non ha nulla da invidiare al Caravaggio di cui era più giovane di appena cinque anni. Il suo nome, Fede, è un chiaro richiamo a questa virtù teologale che proprio in questo periodo doveva essere particolarmente tenuta in considerazione. Sono infatti gli anni del Concilio di Trento, di cui dipinse una sessione Seduta del Concilio di Trento nella chiesa di Santa Maria Maggiore, datata dopo il 1644, che si può ammirare nella sezione due della mostra. Sono, infatti, nove le sezioni del percorso espositivo che attestano come l’artista fu fondamentale per l’arte del suo tempo. La prima sezione accoglie alcuni quadri delle donne pittrici dell’epoca della Controriforma che riuscirono a dedicarsi alla pittura grazie al fatto di essere figlie d’arte come la stessa Galizia o monache che dipingevano per devozione. Un soggetto che Fede Galizia affronta più volte è la Giuditta, tematica presente nella sezione cinque. C’è una differenza sostanziale tra Giuditta con la testa di Oloferne e la serva Abra del 1596 e l’omonima opera del 1601. Si pensa che la stessa Fede si fosse ritratta nei panni dell’eroina ebrea. In entrambe le opere è straordinaria la sua capacità di rappresentare gioielli e abiti del tempo mediata, ma sempre in modo originale, dal padre Nunzio. Nella Giuditta del 1596 i toni sono drammaticamente caravaggeschi, come il rosso intenso del drappo che si staglia sullo sfondo nero, il viso tra luci e ombre, il volto rugoso enigmaticamente perplesso della serva Abra. Emblematica la firma “Fede Galizia” sulla lama del pugnale che tiene in mano Giuditta, paladina della fede che ha appena ucciso il generale Oloferne. Lo sguardo è risoluto di chi sa di avere fatto il proprio dovere. L’opera del 1601, invece, presenta toni cromatici molto meno accentuati. Giuditta appare non come la nobile agguerrita, ma come una donna angelicata circonfusa da un alone luminoso, che serenamente tiene il pugnale, privo di qualsiasi CULTURA&GUSTO Il Castello del Buonconsiglio ospita una mostra articolata in nove sezioni di una delle maggiori pittrici vissuta a cavallo fra il Cinque e il Seicento. Figlia e nipote d’arte, è una pregevole ritrattista Irene Catarella A Trento Fede Galizia mirabile pittoressa “Giuditta con la testa di Oloferne e la serva Abra”, del 1596, spicca per i toni caravaggeschi. Sul pugnale che ha appena ucciso il generale Oloferne spicca la firma Fede Galizia che sembra si sia ritratta nei panni dell’eroina ebrea. A destra “Noli me tangere” del 1616. Nella pagina accanto, una natura morta del 1610: Fede Galizia si distinse particolarmente per il realismo dei suoi frutti, come nella “Coppa di vetro con pesche, mele cotogne, fiori di gelsomino e una cavalletta”

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