SPECIALE D ifficile leggere la realtà odierna dei vini rosa italiani guardando oltre il presente. Continuano a nascere etichette in tutte le aree di produzione: quello rosato è diventato un vino che va completare la gamma dell’offerta aziendale, un po’ come è stato, ed è ancora, per gli spumanti. Continua a essere una tipologia in crescita, ma potrebbe configurarsi come un fenomeno passeggero, legato a una tendenza del mercato, per lo meno per quelle etichette non “col legate” a una produzione storica a Denominazione. La vivacità della produzione di vini rosa, infatti, è “contenibile” in molti casi soltanto dalle Indicazioni geografiche tipiche e a volte neppure da queste, visto che non sono molte le aree dove il vino del terzo colore è tradizionalmente presente e codificato dal disciplinare di una Doc. Vengono interpretati in rosa vitigni tradizionalmente destinati solo ai rossi e fioriscono le etichette di bollicine “colorate” spesso in bottiglie più simili a quelle dei superalcolici odierni che non a quelle solitamente utilizzate per il vino. Un segnale forte, considerando che la generazione Z, quella dei nativi digitali -il cui anno di nascita data tra la fine degli anni ’90 e i primi anni ’10 del XXI secolo- è sempre più lontana dal vino e sempre più prossima alla “miscelazione”. Vedremo nel futuro quale sarà l’evoluzione del loro inquadramento che rappresenterà anche un indice della solidità della tipologia sul mercato. Un esempio recentissimo e importante in questo senso è quello dell’Abruzzo -culla del Cerasuolo d’Abruzzo Doc, uno degli storici vini rosati italiani- che si è impegnato per riordinare la produzione dei suoi vini rosa Igt. Con la modifica ordinaria del disciplinare di produzione della Doc Abruzzo, il Consorzio di tutela ha inserito nella Denominazione il rosato e lo spumante rosé, a prevalenza di uve montepulciano, rispettivamente per un minimo di 85% e 60% da solo o con il pinot nero. In entrambi, a completamento, da sole o congiuntamente, possono concorrere uve di altri vitigni a bacca bianca anche aromatici (al massimo per il 10%) e a bacca nera non aromatici, idonei alla coltivazione in regione. In questo modo il Cerasuolo è stato -se così può dire- preservato nelle caratteristiche che lo connotano, dal colore alle modalità di produzione. E l’altro vino rosa regionale è stato ancorato all’uso del vitigno principe regionale, il montepulciano, e potrà essere prodotto anche con uve bianche -come accade in Francia- e con la tecnica della pressatura, sotto il cappello qualificante della Doc. L’approvazione delle modifiche del disciplinare è attesa in tempo per la vendemmia 2022 e in pochi anni le proiezioni danno l’Abruzzo rosa e rosé Doc a numeri molto importanti, commisurati all’elevato potenziale di produzione del Montepulciano. Diversamente la Pugl ia, dove tradizionalmente si producono volumi importanti di vini rosa, con un contributo quantitativo esiguo del Castel del Monte Bombino Nero Docg e del Salice Salentino Doc, preferisce proseguire in ordine sparso, cioè non riorganizzando e regolamentando le altre produzioni con delle Denominazioni di origine le sue Igt Salento e Mentre c’è chi continua a interrogarsi sulla solidità dei consumi di questa tipologia, l’offerta delle case vinicole sempre di più comprende anche il terzo colore. Le scelte dell’Abruzzo e della Puglia Clementina Palese Il vino rosato continua a offrire buoni numeri e i produttori si adeguano. Funzionano bene le zone storiche, ma sono molte le aree che allargano la propria offerta proponendo vini in rosa: quando il fenomeno sarà consolidato si vedrà se è il caso di inserire questa tipologia nei disciplinari di produzione Vini rosati, moda o fenomeno passeggero? 57 Food&Beverage |giugno-luglio 2022
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