N°142 Giugno Luglio

59 Food&Beverage |giugno-luglio 2022 La regola aurea per la qualità prevede l’equilibrio nella composizione della materia prima che dipende dalla vocazione del territorio, dall’adattamento delle varietà al clima, alla capacità di chi lavora in vigne e in cantina. La laziale Casale del Giglio ha fatto un lavoro egregio CASALE DEL GIGLIO Albìola, rosato laziale intenso e di carattere Un lavoro lungo quello di Casale del Giglio, che negli anni ha tentato una strada nuova e difficile partendo dai terreni bonificati dell’Agro Pontino, nella zona di Latina, in Lazio. E per farlo ha chiamato accanto a sé ampelografi e ricercatori universitari. Così, con un team multidisciplinare, cosa rara all’epoca, negli anni Novanta Antonio Santarelli con il padre Dino ha dato vita a un importante progetto che prevedeva la posa a dimora sui suoi terreni di 57 diversi vitigni sperimentali, italiani e internazionali. Un’avventura complessa e rischiosa, mai tentata con questa scientificità, di cui diviene interprete l’enologo dell’azienda Paolo Tiefenthaler. Un importante lavoro di selezione pone grande attenzione ai vitigni autoctoni del Lazio, riscoperti in zone limitrofe all’azienda, come il bellone di Anzio, la biancolella di Ponza, il cesanese di Affile e di Olevano Romano e da ultimo il pecorino di Amatrice e Accumoli in provincia di Rieti, e ai nomi più classici della viticoltura. Ed è grazie a vitigni come syrah (85%) e sangiovese (15%) che viene prodotto Albìola, Lazio Rosato Igt che prende il nome dalla città Rutula o Volsca che, prossima ad Ardea, era annoverata da Plinio il Vecchio tra le 53 comunità che costituivano l’Antico Lazio. Albìola rappresenta uno dei più antichi insediamenti del Lazio primitivo, forse appartenente alla Lega Latina, sorto all’epoca della seconda fase della civiltà laziale, all’incirca nel IX secolo a.C. e, ai suoi albori, aveva la stessa importanza di Roma. Albìola, prodotto nella vendemmia 2021, è ottenuto utilizzando la tecnica del saignée, il salasso, che consiste nel drenare dal vinificatore, dopo una fase di macerazione a freddo sulle bucce (8-10° C.), una parte di mosto, che poi viene fermentato a parte. La fermentazione avviene a circa 18°C. e si protrae per otto-dieci giorni in serbatoi di acciaio inox. Il risultato è un rosato molto ricco, di grande carattere, con sentori fruttati e floreali tipici dei rosati, ma dalla struttura che si avvicina a quella di un rosso: il colore è quindi un rosa deciso con sfumature viola; il bouquet è intenso, dai sentori di piccoli frutti di bosco in cui domina il lampone e la frutta rossa; al palato mostra grande consistenza con un finale che si presenta lungo e fruttato. un marchio registrato dal Consorzio di tutela che accompagnerà in futuro le manifestazioni dedicate ai vini a base di corvina. Una strategia di promozione per rappresentare il territorio attraverso questo vitigno, cosicché le aziende veronesi, trasversali a quasi tutte le Denominazioni, avranno l’opportunità di presentare in una soluzione unica tutti i loro vini a base corvina, che accomuna il Chiaretto di Bardolino non solo al suo “fratello” rosso Bardolino, ma anche ai vini della Valpolicella, Amarone in testa, fino ai vini a Indicazione geografica. Per quanto riguarda le altre Doc rosa, l’Etna spinge sui vini bianchi e sui rossi prima che sui rosati, di cui peraltro la qualità è ormai riconosciuta, e non mancano rappresentanze rosa nella Doc Sicilia e nell ’ Igp Terre Siciliane. La Calabria con il Cirò, enclave storica di rosati,

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