N°142 Giugno Luglio

70 Food&Beverage |giugno-luglio 2022 Barbara Amati INDAGINI Ansioso e preoccupato il malessere dello chef Gli psicologi del Lazio e gli Ambasciatori del Gusto sondano i problemi psichici e fisici di chi lavora in cucina. Più a rischio gli chef tra 31 e 50 anni quando si è nel pieno della carriera La gavetta, l’obiettivo di una carriera, la gestione di un ristorante, la brigata, la pandemia, la paura di perdere tutto. Per gli chef e, in generale, per chi lavora in cucina, gli stress non mancano, acuiti negli ultimi due anni da quell’incertezza che ha messo a rischio anche i nervi più saldi. Per questo l’Ordine degli Psicologi del Lazio e gli Ambasciatori del Gusto hanno collaborato in un’indagine che racconta molto della vita nelle cucine dei ristoranti. “In cucina, presi dall’incalzare degli avvenimenti e dalle notizie vere o false che siano, spesso non riponiamo la giusta attenzione, anche emotiva, su determinati episodi che invece dovrebbero farci pensare -dice Cristina Bowerman, presidente degli Ambasciatori del Gusto- Questo si riflette anche nel non capire quando il nostro amico o collega ha bisogno di aiuto, di una guida. La ritrosia, ancora particolarmente radicata in culture come la nostra, a chiedere aiuto, certo non soccorre. Negli ultimi anni ho visto numerosi casi in cui la depressione, lo sconforto, ha preso il sopravvento e, a volte, più spesso di quanto ognuno di noi si auspicherebbe, culminare in atti estremi che variano dal lasciare la professione da un momento all’altro a forme di autolesionismo. La brigata -prosegue- è un microcosmo fragilissimo che, quando perde il suo equilibrio, è come una diga che cede e uno tsunami investe la vita di chi la vive ogni giorno. La vita di uno chef può essere costellata da successi ma, esattamente come quella di un cantante, attore, calciatore, è sempre in salita e costantemente vacillante. La fatica fisica, la concentrazione, l’accentramento di tante responsabilità, l’allargamento della platea, le review di giornalisti e clienti, sfibrano, e un giorno ci si alza e ci si rende conto di non poterne più, di essere al limite”. Allora, la domanda è: come si previene, come si riesce a conciliare la propria passione per la propria professione e non finire come Icaro? A volte chiedendo aiuto. Anche perché, pur se il campione non può dirsi statisticamente significativo in relazione agli associati tra i quali è stata svolta l’indagine, le indicazioni sono interessanti. Turnover del personale (80,1%), equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (55,8%), orari (54,9%) e carichi di lavoro (54%) sono i problemi principali dei professionisti della cucina nell’epoca pre Covid. A questi si aggiungono sintomi fisici come le criticità del sonno (54,4%), mentre in ambito psichico si riscontrano ansia (40,5%), tristezza (38,7%) e isolamento sociale (34,9%). Sintomi indicati come stabili da oltre il 30 % dei soggetti e “quindi -osserva l’indagine- lo stato psichico di chi ha risposto sembra suggerire che le problematiche psichiche indicate fossero comunque presenti prima della pandemia in oltre il 30 % degli intervistati”. Quando è arrivata la pandemia in molti ne hanno approfittato per dedicarsi all’aggiornamento professionale (72%), agli hobby (63, %) e nel cercare notizie (59,4%), ma nessuno ha ritenuto utile fare ricorso a uno psicologo. Un dato, quest’ultimo, particolarmente interessante considerati i sintomi psichici largamente lamentati. Però oltre il 78% si è confrontato con i colleghi e più dell’80 % ha pensato ad alternative per Gli ultimi due anni non hanno certo diminuito le ansie degli chef. La chiusura dei locali si è aggiunta alle usuali preoccupazioni della categoria che rischia di perdere il sonno pensando al turnover del personale, il problema più sentito. E poi pesa l’equilibrio tra vita privata e lavoro

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