N°143 Settembre Ottobre

96 Food&Beverage |settembre-ottobre 2022 Non è buono ciò che è buono, ma è buono ciò che piace. Così, parafrasando il celebre detto sul “bello”, si può dire riguardo al gusto. Nelle scelte che riguardano cibo e bevande ognuno è guidato non solo dalle consuetudini alimentari determinate dal luogo in cui vive, dalle tradizioni familiari, dalla propria cultura e dal contesto sociale, ma anche dal patrimonio genetico. Se è vero, infatti, che siamo in grado di percepire i cinque gusti fondamentali (acido, salato, dolce, amaro e umami, che si può individuare con buona approssimazione come “sapido”) non tutti lo facciamo con la stessa intensità. La loro percezione è legata a fattori fisiologici di natura ereditaria, ossia al patrimonio genetico (Dna), quindi anche dall’etnia. Sono le variazioni dei geni, infatti, a codificare i recettori del gusto, cioè le cellule recettrici specializzate presenti nel cavo orale, e a determinare la sensibilità ai sapori, in particolare per quanto riguarda amaro, dolce e umami. Sensibilità che ha avuto un ruolo importante nel corso dell’evoluzione: la percezione dell’amaro, su cui si sono concentrati gli studi, ha guidato l’uomo nell’evitare sostanze potenzialmente pericolose come le tossine vegetali. Era il 1931 quando per caso il chimico Arthur Fox si rese conto che la percezione di una sostanza con cui stava lavorando -la feniltiocarbammide- veniva percepita come amara da un suo collega, ma non da lui. Fu l’inizio degli studi scientifici in materia di genetica del gusto che nel 1994 hanno definito diversi gradi di sensibilità all’amaro distinguendo su base genetica coloro che non riescono a decifrare questo sapore, coloro che lo percepiscono e coloro che, avendo un elevato numero di recettori per questo gusto, sono ipersensibili e lo considerano sgradevole. Il rapporto tra genetica e sensi aiuta a comprendere le abitudini alimentari di molte popolazioni: ad esempio il 75% della popolazione caucasica rientra nella categoria di percezione intermedia e il 25% non percepisce l’amaro. Tuttavia, se in gran parte della popolazione il gusto è determinato dal patrimonio genetico -qualche anno fa in una ricerca di Jane Wardle dell’University College of London, il 40%dei gemelli omozigoti (con lo stesso patrimonio genetico) mostravano le stesse preferenze- ambiente e cultura sono determinanti sul gradimento di un gusto piuttosto che di un altro. Dunque è un insieme di fattori a influire sulla percezione del gusto, ma anche sulle sensazioni che vi si accompagnano legate a olfatto e udito (ad esempio la croccantezza). Gli studi scientifici confermano ciò che è evidente: l’ambiente influisce sulla disponibilità di cibi diversi, sulle abitudini alimentari che a loro volta sono determinate dalle culture dei popoli. Facilmente le preparazioni culinarie rispecchiano questi aspetti e rappresentano nella loro diversità una delle ricchezze del mondo. C’è chi percepisce l’amaro e chi no. Differenze che dipendono soprattutto dal patrimonio genetico, ma anche dal luogo in cui si vive e dalle abitudini alimentari Clementina Palese VERITÀNASCOSTE Il gusto? Dipende da Dna ambiente e cultura

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