N°144 Novembre

46 Food&Beverage | novembre 2022 Cucinare come parlare, il cibo come comunicazione fra chi lo prepara e chi lo mangia. Un piatto è buono quando è ben fatto, ma è indimenticabile quando sa parlare una lingua che la lingua (quella con le papille gustative) sia in grado di decodificare. Una filosofia evidente, fin dalla sua nascita nel 2014, nel ristorante di Alberto Buratti, proprio a partire dal suo nome, Koinè, ovvero la “lingua comune” il κοινὴ διάλεκτος che dal IV secolo a.C. voleva unificare la babele di dialetti locali in un linguaggio collettivo. La radice della lingua greca, parlata, scritta e letteraria, base del greco moderno, che accomunava il Mediterraneo ellenizzato. Il locale di Buratti, al limitare del centro storico di Legnano (Mi), sembra raggruppare sotto la lingua comune della mediterraneità diversi dialetti gastronomici provenienti da tutto il mondo che in qualche modo hanno colpito la sensibilità di questo chef. Aprendo Koinè Buratti è tornato a casa, essendo nato a una manciata di chilometri da lì. Prima, però, di strada ne ha fatta molta, seguendo un cursus honorum di tutto rispetto, dall’Antica Osteria del Ponte di Ezio Santin all’Osteria Francescana di Massimo Bottura fino a Azurmendi dello chef Eneko Atxa, il più giovane tristellato spagnolo. E con questo stiamo tranquilli che ci troviamo davanti a un professionista che di tecnica ne ha assimilata tanta e che sa applicarla alla perfezione a una serie di idee originali. Lungi dal cedere a rassicuranti reinterpretazioni della cucina lombarda di campagna (più riconoscibili dalla clientela locale), Buratti dà libero sfogo alla sua grande curiosità e invincibile attrazione per le cucine di tutto il mondo, di cui utilizza i prodotti senza condizionamenti, solo perché lo ispira aggiungere un determinato sapore in un piatto, magari per il resto composto da ingredienti locali. Ne risulta un originalissimo pastiche (mai pasticcio), sia nei singoli piatti, sia nella composizione dei menu, che rende una visita da Koinè un’esperienza imprevedibile e interessante. Non che manchi la possibilità di misurare lo chef sulle sue radici lombarde, con un menu (perché da Buratti si sceglie fra i menu, non tra i piatti) che preveda risotto e costoletta alla milanese. Ma sicuramente offre ancora più spunti lasciarsi trasportare dalla Lombardia a tutti i luoghi del pianeta, suggeriti dalle suggestioni gustative dei piatti. Ha un sapore molto orientale nonostante le radici lombarde, ad esempio, “preparare lo stomaco” con un Consommé al cipollotto bruciato con la sua polvere, che sarebbe perfetto anche su una tavola giapponese. E, altrettanto, come non sentirsi catapultati in una stanza del Sol Levante, seduti su un tatami delimitato dagli shoji scorrevoli, con un piatto come il Tokomona di zucca? In esso il mantovanissimo ortaggio appare in un’inconsueta essenzialità molto giapponese. Ultimo nato dello chef è il menu vegetariano, doveroso appunto perché qui si sceglie un intero menu e perché il vegetarianesimo è stile di vita frequente in Oriente oltre chepratica religiosa. Si chiama 1 mq d’orto, perché si compone di tutto ciò che virtualmente si può raccogliere nella suddetta estensione. È quindi un’indicazione virtuale sulla quantità di ingredienti che in un 1 mq si trovano dalla terra al cielo, piuttosto che una geolocalizzazione dei medesimi. Da buon figlio della pianura padana con i suoi ritmi contadini (ancora ci sono o vengono recuperati), Buratti scandisce il suo menu sulla base delle fasi lunari e della disponibilità dei prodotti nel periodo di piena maturazione: è dunque un menu che non ha cambi netti, ma sfumati, com’è più consono al ritmo naturale dei prodotti della terra. E proprio la terra è protagonista, anche visivamente, negli asparagi serviti “in cassetta”, ancora impiantati in una base di pane e crackers molto simile alla classica sabbia in cui crescono. Da essa vengono sfilati al momento di essere serviti, intrisi di una panatura-terra croccante, per essere poi gustati con una spuma di pecorino alle erbe che stempera il verde con una sensazione di morbida grassezza. Ancora una volta la koinè viene dal Giappone per una cottura tradiElena Bianco LOMBARDIA Koinè, la lingua comune diventa vegetariana Il locale di Alberto Buratti a Legnano riunisce dialetti gastronomici di tutto il mondo per una serie di proposte originali padroneggiate da tecnica di livello. Con un occhio attento alle proposte dell’orto Dopo una lunga esperienza in ristoranti stellati in Italia e all’estero, Alberto Buratti è tornato vicino a casa per proporre una sua idea di cucina che non voleva limitarsi alla reinterpretazione della cucina lombarda. Utilizzando ingredienti locali, lo chef li ricrea in modo nuovo. E a volte ricorda la cucina giapponese

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