N°146 Febbraio Marzo

65 Food&Beverage | febbraio-marzo 2023 La fine della pandemia ha permesso al mercato di tornare su livelli più normali, soprattutto per la distribuzione delle vendite nei diversi canali. Ma, visto che ormai viviamo in un’era di cambiamento, altri problemi incombono come la crisi climatica che obbliga tutti i produttori a cercare contromisure o la riduzione degli input chimici imposta dall’Unione europea. Esiste poi un problema di innovazione che l’industria del vino recepisce ancora con troppa lentezza Dopo la pandemia che aveva spostato i consumi di vino nella Gdo, il settore ha riacquistato la sua normalità con la risalita delle vendite nell’horeca. Quando tutto sembrava quietarsi è arrivato l’aumento dei costi di materie prime e fonti energetiche frutto di una guerra che all’inizio sembrava una pazzia e oggi, dopo oltre un anno, fa parte della nostra quotidianità. L’aumento dei costi di produzione, della logistica e dei servizi; le difficoltà nel reperimento del vetro, dell’anidride carbonica e del cartone sono ormai problemi quotidiani per i produttori. A questi si sommano le criticità che la viticoltura deve affrontare: dalla sfida del contrasto al cambiamento climatico a quella della riduzione del 50% degli input chimici che l’Unione Europea nell’ambito della strategia Farm to Fork fissa per il 2030, molto difficile da raggiungere, sia per gli eventi estremi provocati dal riscaldamento globale, che rendono difficile la difesa, sia per la messa al bando di prodotti fitosanitari efficaci, ma ambientalmente impattanti. Spiega Attilio Scienza, professore di Viticoltura dell’Università di Milano: “L’innovazione viene recepita con molta lentezza in viticoltura e, in generale, in agricoltura: le nuove Tecniche di evoluzione assistita (Tea) per il miglioramento genetico non sono ancora state sdoganate dall’Unione Europea. Basate sulle scoperte di Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier, premio Nobel per la Chimica 2020, le Tea permettono di ottenere, replicando ciò che avviene in natura in modo preciso ed economico, cloni di vite europea (Vitis vinifera) uguali alle varietà che già coltiviamo, ma resistenti alle malattie legate al cambiamento climatico. La disponibilità di queste piante resistenti è evidentemente funzionale alla riduzione dell’uso di fitofarmaci. I parametri legati alla sostenibilità sono sempre più centrali nelle scelte dei consumatori e quindi saranno inclusi nei disciplinari di produzione e diverranno oggetto di controllo”. E poi c’è una questione strutturale del nostro sistema delle Denominazioni di origine: “Al contesto socio-economico frammentato e disomogeneo della viticoltura italiana si aggiunge quello che definisco ‘effetto gabbia’ dei marchi d’origine e del concetto di tipicità -aggiunge Scienza, in veste di presidente del Comitato Nazionale Vini, l’organo del ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste che ha competenza consultiva e propositiva in materia di tutela e valorizzazione qualitativa e commerciale dei vini Dop e Igp- In Italia la valorizzazione del terroir è più difficile rispetto alla Francia. Oltralpe il terroir ha avuto la funzione di difendere i vini dei vitigni francesi, divenuti internazionali, da quelli prodotti a costi minori in tutto il mondo, grazie alla definizione di marcatori organolettici precisi. Noi, invece, abbiamo legato la tipicità dei nostri vini ai vitigni autoctoni utilizzando un allineamento sensoriale sul vino di successo più prossimo, ad esempio per il Brunello di Montalcino su Biondi Santi, per il Barbaresco su Gaja, eccetera. Una strategia andata bene fino a qualche anno fa quando alcuni vitigni, le tecniche enologiche o la barrique consentivano una normalizzazione sensoriale. Oggi, però, il consumatore non si accontenta più di una identità globale fatta di copie perfette e vuole qualcosa in più. Lo hanno insegnato gli australiani che, disponendo di pochi vitigni e di terroir omogenei, hanno interpretato il vitigno in modo da evidenziare non le caratteristiche comuni, ma le differenze”. I caratteri di unicità dei vini a Denominazione di origine vengono alterati dal cambiamento climatico che provoca come effetto più eclatante l’aumento del grado alcolico medio, come è stato riscontrato soprattutto, negli ultimi 15 anni, in alcune aree del Centro Italia, ma non solo. Induce variazioni nel chimismo dei precursori d’aroma e della materia colorante a causa degli effetti sulla fisiologia della vite e sul metabolismo dell’uva. Anche il terreno è coinvolto -quindi le funzioni delle radici- perché subisce variazioni delle caratteristiche fisicochimiche, microbiologiche e della fertilità. Tutto questo equivale a dire che la “geografia della viticoltura” in Italia, così come la conosciamo oggi, è a rischio e che -a detta di Scienza- “dovremo riorganizzare Il cambiamento climatico e l’innovazione del settore, il problema delle Denominazioni e l’andamento dei mercati. Questi i temi che saranno sviluppati anche al Vinitaly di Verona Clementina Palese Il vino italiano tra problemi e ottimismo SPECIALE

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