N°146 Febbraio Marzo

84 Food&Beverage | febbraio-marzo 2023 Quando arrivò in Occidente fu subito apprezzato anche per le sue presunte proprietà non solo gastronomiche. Con gli anni si è imparato a conoscere le diverse varietà. Come il pepe di Timut e quello di Cubebe Elena Bianco Il pepe in cucina non è solo un accessorio SFIZIOFOOD È arrivato in Occidente 2500 anni or sono ed è stato subito un successo: il pepe. È piaciuto infatti proprio a tutti, medici e gastronomi, tanto che è stato subito adottato nelle ricette dell’antica Roma, almeno nelle cucine dei ricchi, altrimenti veniva sostituito dal più economico e meno esotico mirto. Il pepe, infatti, arrivava dall’India, luogo remoto, e di questa spezia si sapeva ben poco: in epoca imperiale addirittura si era diffusa la leggenda che fosse raccolto dalle scimmie, poiché la pianta germogliava in luoghi inaccessibili all’uomo. Il piccolo frutto carnoso del pepe contiene un solo seme che, raccolto non ancora maturo, rappresenta il pepe verde, maturo ed essiccato diventa il pepe nero, mentre liberato dalla polpa è il pepe bianco. Nell’antichità, conoscendo solo i grani ma non la pianta, molti occidentali incorsero nell’errore di credere che pepe bianco e pepe nero fossero due alberi diversi. Il successo del pepe non fu esclusivamente gastronomico: Discoride, Galeno e altri medici gli riconoscevano proprietà diuretiche, stimolanti dell’appetito, digestive, calmanti dei dolori. Una ben radicata credenza popolare, poi, gli attribuiva virtù afrodisiache, perché lo riteneva uno stimolante dell’apparato genitale. Ovidio suggeriva a chi fosse sessualmente debilitato: “… piper urticale mordacis, semina miscent”, cioè, mescolino il pepe con i semi dell’ortica irritante. Dato il lungo cammino che doveva compiere da Oriente a Occidente, e soprattutto grazie alle sue caratteristiche di lunga conservabilità e alla difficoltà di sofisticazione, il pepe aveva un costo molto elevato. E tale rimase anche nel Medioevo, quando continuava a essere merce rara e sovente i vassalli lo utilizzavano per pagare tributi o riscatti. Sembra che il primo a ricevere questo genere di compenso fosse Alarico re dei Visigoti che, per rinunciare alla conquista di Roma (nel 408 d.C.) ottenne 3 mila libbre di pepe, insieme a 5 mila libbre d’oro e ad altri beni e territori. La costante richiesta del pepe dominò nei secoli il commercio delle spezie, fino a spingere mercanti e avventurieri a solcare i mari e a battere anche le vie più pericolose, diventando loro malgrado esploratori e scopritori di nuove terre. Alla fine del Medioevo quasi tutto il commercio del pepe in Europa passava per Venezia: i carichi imbarcati nei porti mediorientali erano venduti all’incanto a Rialto da speciali funzionari di nomina statale, denominati “messeri del pepe”. Nel XV secolo, con la scoperta della Via delle Spezie da parte di Enrico il Navigatore, Infante di Portogallo e fondatore dell’impero coloniale portoghese, il mercato si spostò a Lisbona. Da carteggi veneziani risultava che in quel periodo storico la Il pepe nero, bianco e rosso sono solo alcune delle tipologie della spezia arrivata dall’India oltre 2500 anni fa. Da subito divenne un ingrediente delle ricette dell’antica Roma e il suo successo fu dovuto anche alle supposte proprietà diuretiche, stimolanti dell’appetito, digestive, calmanti dei dolori. E alla radicata credenza popolare che gli attribuiva virtù afrodisiache Foto: ©123rf

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