N°147 Aprile Maggio

60 Food&Beverage | aprile-maggio 2023 C’è la Dop, ma poco marketing per il prodotto tipico della sacca alle foci del Po che rilancia con una nuova comunicazione. E in cucina è un piacere Rossella Cerulli La Cozza piena è solo di Scardovari DENOMINAZIONI Scardovari, chi è costei? Il nome dovrebbe essere noto ai golosi gourmand. E, invece, la frazione di Porto Tolle, provincia di Rovigo, nel Parco regionale del Delta del Po, continua a essere piuttosto sconosciuta. Nonostante qui, nell’omonima laguna, si coltivi l’unica cozza italiana Dop: per l’appunto la Cozza di Scardovari. Ma si fa presto a dire laguna. Perché questa insenatura di 3.200 ettari, detta sacca per la sua conformazione, racchiusa tra le foci del Po di Gnocca e quella del Po delle Tolle, è un luogo incantato, dove acque dolci e salate si fondono continuamente. Dando vita a un mondo liquido a parte, piatto e silenzioso, regno di fenicotteri, canneti e, naturalmente, pescatori: che a fine ’700 si stanziarono qui a pescare il pesce scardova, che finì per dare il nome alla zona. Qui, negli anni ’70, iniziò la coltivazione del Mytilus galloprovincialis, la cozza mediterranea. Con estremo successo: al punto da ottenere nel 2013, unica cozza autoctona italiana, il riconoscimento Dop e nel 2018 la certificazione bio. Avendo sviluppato nel tempo, in virtù dei nutrienti presenti in laguna, caratteristiche organolettiche eccezionali. Quali? Dolcezza, morbidezza e polpa abbondante: per disciplinare, infatti, il sodio presente deve essere inferiore a 210 milligrammi per 100 grammi, le carni morbide e fondenti, fino a riempire bene la cavità valvare, con un contenuto superiore al 25% del peso del prodotto. Insomma, una rarità rispetto agli altri mitili nostrani e stranieri. Nonostante i riconoscimenti, quelle di Scardovari continuano, però, a essere cozze poco conosciute. “I motivi della scarsa notorietà? Molteplici -spiega Paolo Mancin, presidente del Consorzio tutela Cozza Dop di Scardovari- La nostra produzione è realizzata, dalla semina alla raccolta, totalmente a mano e coinvolge 1.500 associati, di cui la metà donne. È un lavoro di grande impegno, ma poco apprezzato dai grossisti e dalla Gdo. Diciamo che la Dop ha creato una resistenza commerciale visto che un chilo delle nostre cozze costa qualcosa in più. Ecco perché, grazie al Piano di produzione e commercializzazione 2020 dell’allora Mipaaf, abbiamo deciso di puntare a una promozione più adeguata, tra fiere, social e Youtube, in collaborazione con Eurofishmarket e la fondazione Qualivita: in modo da comunicare le nostre peculiarità a ristoratori e pescherie interessati a prodotti superiori a quelli convenzionali. Il tutto, ovviamente, clima permettendo: dobbiamo, infatti, fare i conti con la siccità e la carenza d’acqua. Rispetto al nostro potenziale di mille tonnellate quest’anno da maggio ad agosto realizzeremo circa 5 mila quintali”. Per la sacca e suoi pescatori la storia è ancora tutta da raccontare. “Come in quasi tutte le Dop ittiche, quella della cozza di Scardovari è passata inizialmente sotto silenzio -spiega Valentina Tepedino, medico veterinario specializzato nei prodotti ittici e consulente scientifico del progetto- Dopo una certificazione occorre fare passi successivi in termini di promozione: ma in questo settore il marketing lo fanno ancora in pochi. E, invece, nel caso della Cozza Scardovari Dop il valore, anche economico del prodotto, deve essere fatto conoscere: perché laddove i produttori convenzionali dichiarano le loro cozze piene, e cioè ricche e gustose, quelle della sacca devono esserlo per forza, in virtù del disciplinare che stabilisce un contenuto di carni da pari a superiore al 25% del peso del prodotto. E poi questa è una cozza che nasce e cresce nelle stesse acque, non come moltissime il cui accrescimento viene effettuato lontano dal luogo di origine. Importantissimo anche l’incoming turistico: perché la sacca di Scardovari è un luogo magico e merita di essere visitato. In BretaMarcello Leoni, chef stellato, un passato al Trigabolo di Argenta, nonché la collaborazione con Gianfranco Vissani, oggi insegna all’Istituto De Filippi, scuola di alta formazione alberghiera di Varese. Per lui cucinare la Cozza di Scardovari è un piacere: l’accompagna a una focaccia croccante al rosmarino, ma l’utilizza anche come farcia per il rombo e per tutti i pesci piatti

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