N°149 Settembre Ottobre

50 Food&Beverage | settembre-ottobre 2023 meno di tutti. Se sei pure femmina, figuriamoci”. Però, oltre a raccontare i singoli episodi, l’autrice cita anche il rapporto Oxfam che ha esaminato il ricorso al lavoro sommerso in diversi settori del mercato italiano. “Nell’accoglienza e nella ristorazione, c’è un uso diffuso di contratti part time, nei quali poche ore formalmente contrattualizzate si affiancano ad ampie porzioni di retribuzione “fuori busta”; lunghi periodi di prova pagati poco o niente; per non parlare della diffusione di contratti di breve durata, puntellati da un turnover altissimo. Sempre di più, la ristorazione e l’accoglienza sono una giungla fatta di nero, contratti pirata e dumping contrattuale, il tentativo di aggirare la contrattazione collettiva attraverso una contrattazione parallela con sindacati minori compiacenti alle imprese”. Giudizio impietoso al quale si affianca l’indagine della Fipe realizzata in collaborazione con Adapt che ha studiato il dumping contrattuale negli esercizi pubblici: “Il rapporto è prezioso nel mappare le pressioni a cui è sottoposto il lavoratore nei pubblici esercizi, in balia di un contesto pieno di irregolarità nel quale è raro trovare tutte le proprie ore in busta e pagate il giusto. Lazzeroni ha parlato di un “parossistico mercato dei contratti collettivi”, riferendosi alla proliferazione di contratti al ribasso. “Il fine è semplice: ridurre il costo del lavoro e le tutele esistenti”. E, ancora, secondo l’Inps, il 64,5% dei lavoratori della ristorazione è povero. Il comparto ha perso circa 243 mila persone solo nel primo anno di pandemia, molte delle quali per dimissioni. “Non potevano vivere con la cassa integrazione, spesso pagata in ritardo -ha raccontato all’autrice Luciano Sbraga- Per molti versi, la pandemia ha costituito una specie di cesura. In primo luogo, perché ha esacerbato l’incertezza tra le imprese e i lavoratori, molti dei quali si sono trovati, o hanno iniziato a temere di ritrovarsi, senza lavoro da un giorno all’altro. In secondo luogo, perché tanti hanno iniziato a chiedersi se ne valesse davvero la pena, lavorare nella ristorazione. Perché restare in un settore che offre paghe basse, turni massacranti e un’insicurezza così elevata?”. Così, la ristoratrice piemontese, quasi con le lacrime agli occhi, racconta delle due ragazze con lei da dieci anni che dopo il Covid sono andate a lavorare nella mensa di una Rsa. Serate libere e molti weekend a disposizione. La pandemia ha fatto scoprire a molti che ci può essere una vita differente fuori dal ristorante o dall’albergo e che non esiste solo il lavoro. E capita di sentire la storia del giovane aspirante chef a cui piace il proprio lavoro, ma che non vorrebbe lavorare INCHIESTE Più che lamentarsi dei giovani che non hanno più voglia di lavorare, alla ristorazione servirebbe dare uno sguardo al proprio interno, perché troppe sono le testimonianze di lavoratori con compensi ridicoli. Poi è altrettanto vero che anche chi offre il giusto salario fa comunque fatica a trovare personale

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