58 Food&Beverage | settembre-ottobre 2023 per poco meno di mezzo chilo attuale a 2,50 dollari (2,30 euro) per la stessa quantità nel 2030. Ma i costi sono solo una parte del problema. Difficile pensare, infatti, che questa carne possa competere con quella naturale per le caratteristiche organolettiche. Gusto, odore e consistenza, probabilmente, almeno nel breve termine, non potranno essere gli stessi e anche i valori nutrizionali sono differenti. Si parla di vitamine come la B12 che non potranno fare parte di questo tipo di alimenti ma forniti a parte, mentre mancano ancora studi scientifici sugli effetti a lungo termine. In sostanza, a oggi non si sa molto sulla carne coltivata, anche se già esiste qualche studio che avanza forti dubbi. È il caso di quello citato da Susanna Bramante, agronomo e divulgatrice scientifica sul sito carnisostenibili.it, che ricorda il documento dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms/Who), che espone 53 pericoli per la salute. “Essendo un cibo nuovo, non ne conosciamo ancora l’impatto sul nostro organismo, ma secondo gli studiosi potrebbero esserci pericoli particolarmente gravi e inaccettabili, come potenziali effetti cancerogeni. Questo a causa dell’utilizzo di fattori di crescita e ormoni nei bioreattori per accelerare la proliferazione cellulare, che rende concreto il pericolo di mutazioni incontrollate. Inoltre, queste molecole bioattive possono interferire con il metabolismo, attivando lo sviluppo di tumori”. Sempre Bramante afferma che nel caso della carne artificiale, gli ultimi calcoli più accurati stimano un impatto ambientale da 10 a 50 volte maggiore degli allevamenti. Mancano le certezze e si procede un po’ a tentoni. Così, la tecnologia di coltivazione in vitro potrebbe, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, “offrire modi per controllare la composizione della carne e renderla più salutare. Il contenuto di grasso potrebbe essere fissato ai livelli raccomandati e i grassi insalubri potrebbero essere sostituiti con i più salutari omega-3. Si potrebbero anche includere ingredienti aggiuntivi come le vitamine”. La carne artificiale, poi, “non sarebbe così dipendente dall’uso di antibiotici, perché crescerebbe in condizioni sterili a partire da animali sani. Adottare più rigide procedure di controllo durante il processo di produzione potrebbe inoltre favorire una diminuzione delle malattie zoonotiche legate alla produzione di cibo”. Con un ragionamento semplice, consumare questo tipo di carne potrebbe ridurre il numero degli animali macellati, degli allevamenti, e portare quindi a un minore inquinamento. Ma non tutto è così semplice. C’è la preoccupazione, ad esempio, relativa allo smaltimento del siero animale usato per la produzione in vitro, e, comunque, coltivare cellule richiede nutrienti, e dunque campi da coltivare per estrarre queste sostanze. Poi dipende da come saranno utilizzati gli eventuali terreni liberati dai pascoli. Se, ad esempio, fossero convertiti in colture agricole intensive, secondo alcuni studiosi l’impatto netto sui cambiamenti climatici sarebbe persino negativo, perché i pascoli permanenti catturano grandi quantità di carbonio nel suolo e la loro conversione rilascerebbe importanti quantità di carbonio nell’atmosfera. Se, invece, i terreni diventassero foreste o altri tipi di vegetazione nativa i benefici sarebbero indiscutibili. C’è poi un altro aspetto da considerare. L’allevaNORMATIVE Il problema della normativa italiana è che potrebbe cozzare, e soccombere, di fronte al varo di quella europea. A quel punto l’Italia continuerebbe a vietarne la produzione, mentre la carne coltivata prodotta all’estero potrebbe essere commercializzata nella Penisola. Nel frattempo anche colossi del settore della carne si attrezzano per iniziare a produrla
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