N°153 Aprile Maggio

66 Food&Beverage | aprile-maggio 2024 SPECIALE In un contesto di lenta riduzione generale dei volumi di vino venduti in Gdo, cambia però il mix e lentamente, ma progressivamente il bianco guadagna quote a scapito del rosso. Nelle foto, i vigneti di Collavini, cantina storica del Collio che coraggiosamente tiene i vini a riposo in cantina un anno in più per offrire un prodotto di maggior maturità, piacevolezza e persistenza molto più facili da bere e non solo per quanto riguarda il pesce -afferma Simone Lugoboni, chef-patron del ristorante scaligero- Credo che si andrà sempre più verso vini che accompagnino il cibo, piacevoli e non troppo alcolici. Vedo il rallentamento dei rossi, a meno che non si tratti di vini importanti, ma leggeri, giocati sull’eleganza, come il Nerello Cappuccio o i Nebbioli”. La cucina di pesce solo “pescato” de L’Oste Scuro si è evoluta negli anni discostandosi dai piatti classici, pur mantenendoli in carta, verso preparazioni più creative con abbinamenti particolari, ma conservando l’ispirazione iniziale: la ricerca di materie prime eccellenti. Nel 2021 la svolta anche nella carta dei vini, puntando sulla ricerca in particolare di vini bianchi, ma non solo. “Nella carta dei vini mancava la passione che c’era nei piatti per sorprendere il cliente e proporre una novità a ogni visita -ricorda Lugoboni- Abbiamo creato una carta originale senza esagerare nelle quantità di una sola referenza, e puntando sull’agilità come nel caso del menu che, soggetto alla disponibilità del pesce sul mercato, deve essere facile da gestire”. Proprio per questa dinamicità la carta dei vini di quello che è considerato il miglior ristorante di pesce di Verona è digitale: per la facilità di aggiornamento, ma anche per la ricerca da parte del cliente visto che conta su mille referenze di cui l’80% di bianchi e bollicine. L’innovazione sta anche nella proposta di verticali della stessa etichetta e nella suddivisione dei vini veronesi non per Denominazione, ma per comune di provenienza “come fanno in Borgogna -puntualizza lo chef- La presenza di diverse annate permette di conoscere le potenzialità di DɝQDPHQWR GL PROWL ELDQFKL LWDOLDQL D SDUWLUH GD COLLAVINI Broy 2020, tradizione, eleganza e sensualità Broy, dal latino broilo, era il piccolo orto attiguo alla casa colonica con alcuni filari di vite che avevano il compito di produrre l’annuale fabbisogno di vino. Oggi Broy è una etichetta di Collavini la cui storia inizia nel 1896 quando il capostipite Eugenio raccolse da queste viti i primi grappoli. Broy Collio Bianco, composto dal 50% di tocai friulano, 30% di chardonnay e 20% di sauvignon, unisce tradizione e territorialità del primo vitigno, eleganza e virilità del secondo e l’intrigante pennellata di sensualità del terzo per dare vita a un blend dal colore paglierino saturo dai tenui riflessi verdi. Profumo intenso e persistente, ricordi di frutta tropicale matura, miele d’acacia, scorza d’arancia e fiori gialli. Corpo potente e lungo, morbido e caldo, ma bilanciato da piacevoli note di freschezza e mineralità. A partire dall’annata 2018, pur conservando immutata la concezione originaria, si è voluta dare al Broy una nuova impostazione, elevando maturità, piacevolezza e simmetrie sensoriali. Così, il vino riposa in cantina un anno in più e non solo in piccole vasche d’acciaio: una parte fermenta e matura in botticelle, una particolare selezione di roveri francesi di antica stagionatura e perfetto equilibrio. Broy 2020 accompagna piatti di grande cucina, dal pesce al forno al risotto con tartufo.

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