N°156 NOVEMBRE

68 Food&Beverage | novembre 2024 Rossella Cerulli L’autunno non porta solo castagne e zucche. Perché a tingere di rosso il crepuscolo dell’anno c’è anche la melagrana, frutto (al femminile) del Punica Granatum, nome scientifico della pianta di melograno portata dai Romani nell’Urbe dalla Tunisia, terra degli odiati Punici. Una mela-contenitore, con all’interno un corredo compatto di grani rosso rubino (600 in un solo frutto), pluri-immortalata nella storia dell’arte perché simbolo di abbondanza, sacrificio (i grani rappresentavano il sangue del Salvatore) e rinascita: osservare, per credere, le versioni della Madonna della melagrana del Botticelli o di Filippino Lippi. Insomma, uno scrigno di gemme da aprire e gustare fino a Natale e oltre, vero serbatoio di vitamine A e C, ma anche di potassio e magnesio. Ma, soprattutto, di acido ellagico, potente antiossidante indicato per combattere l’insorgere di patologie tumorali, neurovegetative e cardiovascolari. È indicato anche per prevenire la degradazione del collagene: risultando così un anti-age naturale. Unico handicap: il suo essere scomodo da consumare, unitamente alla difficile conservazione. Un superfood al pari di avocado e zenzero? Sì e no: perché dopo un iniziale exploit, il successo della melagrana ha subito un colpo d’arresto, nonostante la diffusione negli ultimi anni di estesi melograneti nel centro e sud Italia. E l’impianto di cultivar più produttive rispetto a quella “dente di cavallo”, varietà diffusa soprattutto a scopo ornamentale. Tra le prime a cimentarsi nella nuova coltivazione nell’Agro Romano, la Tenuta Barberini, azienda situata nell’area sud più coltivata della capitale, i cui prodotti possono fregiarsi dal 2014 della certificazione Dom 9 (Denominazione di origine municipale) riferentesi per l’appunto al IX municipio. “La melagrana è veramente un frutto dalle grandi potenzialità -spiega Francesca Romana Barberini, titolare dell’azienda insieme al padre Alessandro, e giornalista agroalimentare- Il succo, ricavato dalla spremitura degli arilli (e cioè dei chicchi) e della pellicola che li ricopre, è un concentrato di polifenoli. Ma è perfetto per realizzare marmellate, aceti e condimenti, non essendo particolarmente zuccherino: vanta infatti 18/19° Brix”. Due le varietà coltivate in azienda: la Wonderful, più tardiva (si raccoglie fino a novembre), brevettata in Israele e diffusissima, dai pomi del peso anche di 1kg e mezzo, dal sapore asprigno, e la Acco, più precoce, dai frutti rosso intenso, più piccoli e più dolci al palato. “È una pianta rustica ma non per questo non necessita di cure o acqua -precisa Alessandro Barberini- I cespugli devono essere potati ad hoc, i polloni eliminati più volte, tutte le lavorazioni, compresa la raccolta, effettuate a mano. Noi produciamo circa 450 quintali l’anno: ma il problema sono i frutti provenienti dal Maghreb o dal Kazakistan, trattati chissà in quale modo, che arrivano in Italia a marzo: riuscendo così a toccare gli 8 euro al chilo, quando i nostri ora vengono pagati 1 euro”. Un frutto incompreso la melagrana italica? “Più che altro un frutto poco valorizzato, la cui specificità non è riconosciuta -aggiunge Francesca Barberini- Al contrario del kiwi, ormai frutto italiano d’eccellenza, dopo gli iniziali entusiasmi la coltura (e la cultura) della melagrana non sono state PRODOTTI Francesca Romana Barberini dell’azienda agricola di famiglia nell’agro romano dove si coltiva la melagrana che si fregia della certificazione Dom, Denominazione di origine municipale. Un frutto dalle grandi potenzialità con un succo che è un concentrato di polifenoli. La versione italiana, però, soffre della concorrenza della produzione di Maghreb e Kazakistan Serbatoio di vitamine, potassio H PDΑQHVLR antiossidante, stenta però ad affermarsi. Anche perché, VSLHΑD OD FKHI Cristina Bowerman, è difficile trovare le PHODΑUDQH LWDOLDQH Melagrana superfruit in cerca d’autore

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