Frutto tra i più versatili dell’autunno, passa con disinvoltura dai piatti della gastronomia tipica, come minestre e ripieni, alle elaborazioni e agli abbinamenti più creativi. Senza dimenticare l’uso in pasticceria, dal sontuoso Montebianco ai raffinati marron glacé
Jenny Maggioni
Quando si dice non avere mezze misure: nella storia la castagna è passata da cibo per la sopravvivenza a ingrediente principe della gastronomia, soprattutto pasticceria, più raffinata. Un frutto perennemente in bilico tra piatti rustici e quotidiani ed elaborate squisitezze per le feste. Anzi, all’inizio gli antichi Romani erano più interessati al legno duro e resistente del castagno, perfetto per realizzare pali, travi, botti e utensili, che all’aspetto alimentare della castagna. Fu nel Medioevo, e poi fino al Settecento, che questo dono del bosco divenne un prezioso alleato per i pastori e i contadini di montagna: come sostituto del pane e della polenta o secche, rivenute in acqua e bollite nel latte, con le quali si realizzavano golose zuppe, erano un cibo base, ricco di calorie, che aiutava a sopravvivere ai rigidi inverni. Solo successivamente il “pane dei poveri” arrivò sulle tavole dei ricchi, come appetitoso completamento della selvaggina. Ma è nel XVIII secolo che le castagne, trasformate in marron glacé, incantano i palati dei nobili.
Diffuse dal Portogallo alla Germania, dalla Gran Bretagna ai Balcani, oggi le castagne si consumano soprattutto come street food, un goloso spuntino da passeggio acquistato, spesso a caro prezzo, dai venditori di caldarroste che in autunno spuntano nelle vie e nelle piazze delle città. Oppure sono la piacevole conclusione di un pranzo in compagnia, esaltate da un buon bicchiere di vino rosso. Nelle cucine regionali sono le protagoniste di piatti “poveri”, come gnocchi e minestre, e nei dolci, come varie frittelle, tra cui i caggnìtt abruzzesi e il famoso castagnaccio, antica torta toscana diffusa in tutta Italia, preparata con farina di castagne arricchita con pinoli, uvetta e rosmarino. Ma il frutto fresco dà il meglio di sé nel sontuoso Montebianco, un cono di purè di castagne e amaretti sormontato da una cupola di panna montata. Senza dimenticare i marron glacé, ottimi da soli o sbriciolati e macerati nel rum, per arricchire gelati e mousse. Ma la castagna fresca, brasata in vino, in brodo o in purè, è perfetta con la cacciagione e nei ripieni. E, ora, gli chef più creativi la propongono anche in abbinamento al pesce.
Primo fra tutti il bistellato Norbert Niederkofler, executive chef del ristorante St. Hubertus dell’Hotel & Spa Rosa Alpina di San Cassiano in Badia (Bz). “La castagna è un frutto molto interessante in cucina, a partire dal fatto che è estremamente stagionale e quindi la troviamo solo nel periodo autunnale -spiega Niederkofler- Io uso quella di Barbiano (Bz), in Valle Isarco, piccola ma molto saporita. Tra le sue peculiarità spicca la versatilità che la rende perfetta sia in preparazioni dolci sia in quelle salate. Noi al St. Hubertus la utilizziamo molto cruda, tagliata con l’affettatrice ed essiccata, ad accompagnare il cervo. Ma è buonissima anche la Zuppa di castagne, arricchita dal tartufo bianco. L’abbinamento con il pesce è un po’ più difficile: meglio servirla cruda in insalata. Ma se la castagna dà il meglio di sé in piatti della tradizione, si comporta bene anche in ricette più creative: ad esempio si può realizzare con l’azoto una schiuma di castagne da servire con il tartufo nero. Senza dimenticare, naturalmente, i dessert dove, insieme a mirtilli, cachi e zucca regala al dolce un sapore particolare e riconoscibile”.
Peccati di gola che fanno bene: la castagna è, infatti, alquanto saporita e con un alto valore energetico; contiene molti sali minerali e vitamine B e C (quest’ultima inibita però dalla cottura); è ricca di carboidrati, più digeribili di quelli dei cereali e, infine, per l’alta percentuale di potassio, è un toccasana per l’apparato cardiovascolare e neuromuscolare. Non dobbiamo dimenticare inoltre che la castagna è tra i frutti più naturali, protetta dall’inquinamento grazie alla spessa buccia e al riccio, così come il suo albero che non ha bisogno di fertilizzanti e antiparassitari. Un plus dei castagneti sparsi in tutta Italia che regalano anche frutti a Indicazione geografica protetta, come la Campania con la Castagna di Montella, da secoli prodotta nella provincia di Avellino e dalla caratteristica forma rotondeggiante, e il Marrone di Roccadaspide, nel Salernitano. In quest’ultima provincia sopravvive anche un particolare e unico processo di lavorazione, la castagna del prete: inventato in tempi antichi dai frati cappuccini per conservarli tutto l’anno, consiste nel mettere i frutti ad asciugare sui graticci, in ambienti riscaldati con fuoco a legna; dopodiché sono cotti in forno e successivamente immersi nell’acqua, in modo da riacquistare umidità e morbidezza; riasciugati sono pronti per essere mangiati o per essere utilizzati in diverse preparazioni. Spostandoci invece a nord, in Toscana, incontriamo la Castagna del Monte Amiata Igp, dal sapore dolce e delicato, e in Piemonte, la croccante Castagna di Cuneo. A Milano, per tradizione, il giorno dei morti, il 2 novembre, castagne e dolci guarnivano i piatti vuoti lasciati in memoria dei defunti.
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