Piacciono a tutti gli chef, ma pochi le propongono in carta, come Elio Sironi. Però, oggi, sull’onda di una riscoperta dei sapori autentici, ecco nascere locali puntano proprio su questo piatto di grande versatilità che, gustoso e divertente da preparare, ricorda i sapori dell’infanzia
Stefano Masin
La polpetta fa tendenza. Elio Sironi docet. Dopo che, al suo Ceresio 7, inaugurato a Milano in ottobre, aveva proposto in menu appunto le sue polpettine di vitello, annunciando un ritorno alla tradizione e confermando a cinque mesi di distanza che quello è il piatto più richiesto, è tutto un fiorire di locali dedicati alla polpetta, da Cicilla a Bolpetta, dalla Polpetteria a The Meatball Family. A questi ristoranti, conosciuti e apprezzati, che hanno fatto della polpetta il proprio piatto forte, si sono accodati anche chef importanti che si sono arresi alla tradizione di una delle ricette più rappresentative della cucina italiana; anche se, di fatto, rimane una certa diffidenza da parte di alcuni cuochi. Le polpette sono indubbiamente un piatto povero della cucina di casa, ma oggi nobilitato (sarà per la crisi, sarà per un ritorno ai sapori “autentici”) e proposto in infinite declinazioni: di carne, di pesce, vegetariane, fritte, stufate, al forno, in padella, grosse, piccole, rotonde, ovali.
Delle polpette, in sostanza, si dice e si è detto un po’ di tutto, nel bene e nel male. Rappresentano forse la pietanza più bistrattata del panorama culinario italiano, al punto da farle quasi scomparire, lasciandone alcuni focolai tra le mura domestiche, soprattutto nelle regioni del Sud. Ma quella pallina gustosa e saporita, come l’Araba fenice, è risorta dalle proprie ceneri, un po’ per volontà di alcuni chef, figli di quelle donne che non hanno mai smesso di credere nelle polpette, un po’ per merito di quell’effetto ciclico delle mode molto marcato in Italia e, infine, un po’ per la crisi. Sì, la crisi: in fin dei conti la polpetta nasce come ricetta di recupero e la storia la colloca tra i piatti poveri della cucina italiana e, poiché gli italiani stanno, purtroppo, riscoprendo questo status sociale, le polpette sono tornate sulle nostre tavole ma, ora, lo hanno fatto da protagoniste.
Sì, perché la filosofia della polpetta, quella fatta in casa, è effettivamente di recupero, ossia: “Apro il frigo, guardo quello che c’è, controllo che non sia scaduto, lo trito, lo amalgamo con uovo e pane raffermo imbevuto nel latte o nell’acqua, faccio delle palline e per non sbagliare friggo tutto”. Risultato? Delle polpettine croccanti fuori e morbide dentro, dal sapore probabilmente indefinibile, ma certamente celestiale. Ma nel momento in cui la polpetta esce dalle mura domestiche per andare alla conquista della ristorazione, l’apparente casualità degli “ingredienti recuperati” è invece frutto di un’accurata ricerca, da parte degli chef, di materie prime e di fusione di sapori. E che le possibilità siano infinite lo si intuisce anche dal termine, “polpetta”: nome comune, femminile, singolare, che fondamentalmente non svela nulla di sé se non la forma, rotonda, e la dimensione, piccola. Cosa si celi all’interno di quelle rotondità è frutto della creatività di chi le propone o della sapiente capacità di portare avanti una tradizione e, spesso, in quel mix di ingredienti si cela anche un piccolo segreto gelosamente custodito dall’autore.
“Per noi le polpette sono un piatto tradizionale abruzzese, a base di formaggio e uova e con due modalità di realizzazione: la versione fritta oppure quella in cui sono successivamente messe nel sugo -racconta Angela Tinari, cuoca assieme al marito Giuseppe del Ristorante Villa Maiella a Guardiagrele (Ch)- Ingredienti semplici, quindi, a cui si aggiunge solo un po’ di pane ammorbidito nel latte. Una delicata frittura completa l’opera”. E proprio questo è il segreto delle polpette preparate dai Tinari: la frittura. Come spiega la cuoca, la temperatura dell’olio è, infatti, fondamentale per far sì che la polpetta si gonfi senza cuocersi troppo. “Una temperatura eccessiva rischierebbe di bruciare, noi quindi utilizziamo l’olio extravergine di oliva che arriva a circa 130 gradi e cuoce le polpette senza bruciarle dando loro una piacevole croccantezza esterna e una morbidezza all’interno -conclude Tinari- Il risultato è una polpetta delicata, ma gustosa, molto apprezzata da una clientela a 360 gradi: appartiene ormai al Dna degli abruzzesi e stupisce i turisti e coloro che l’assaggiano per la prima volta. Solo una cosa manca alle mie polpette -scherza Tinari- che non sono ancora buone come quelle della mia mamma”.
Ed è proprio questo il nocciolo della questione. La maggior parte dei cuochi per professione o per passione ha amato e appreso i segreti delle polpette in casa propria o di un parente che, ancora bambini, li faceva divertire mescolando con le mani gli ingredienti e facendogli creare quelle deliziose palline. “La polpetta è un vero classico della cucina italiana e di quella napoletana in particolare -spiega Francesco Apreda, chef del ristorante Imàgo dell’Hotel Hassler a Roma- Il mio ricordo di bambino sono quelle che facevano in casa e che mettevano a cuocere ancora nel ragù per insaporirlo ulteriormente prima di condire i maccheroni. Le polpette venivano servite come secondo. Questa tradizione è talmente radicata nella nostra cucina da essere esportata anche all’estero nelle comunità italiane e non solo, come negli Stati Uniti, in particolare a New York, dove mi reco spesso, e qui gli americani hanno addirittura trasformato le due pietanze in piatto unico, unendo la pasta con il sugo e le polpette”. Una strana combinazione ai nostri occhi, ma sintomatica di una notevole capacità di contaminazione delle cucine straniere, le quali recepiscono la polpetta come un autentico made in Italy.
Ma la polpetta è anche strategica, come racconta Alfonso Caputo, chef della Taverna del Capitano di Massa Lubrense (Na), perché permette di utilizzare ingredienti che altrimenti richiederebbero preparazioni macchinose. “Il gronco è un pesce con una polpa molto bianca, ma difficile da spinare -spiega Caputo- Anche a fette è complicato da mangiare; io quindi lo taglio a pezzi, lo metto nel forno a vapore, lo pulisco bene, aggiungo la mollica di pane invecchiata e creo delle polpette. Allo stesso modo si possono usare pesci come l’anguilla o la murena”. Ma la polpetta si ricollega anche a una sorta di cibo di strada, come racconta Caputo parlando dei suoi ricordi d’infanzia, quando da bambino mangiava il panino con le polpette al pomodoro.
La polpetta, quindi, sta tornando, o meglio è già tornata, anche attraverso format appositamente dedicati, come Bolpetta a Bologna, un progetto che parte dalle ricette emiliane tradizionali, per rivisitare un piatto che ha fatto la storia della cucina di casa, il tutto immerso in una location del tutto particolare, con un arredamento di design curato da Costa Group, azienda spoletina specializzata nella realizzazione di locali pubblici. Anche Milano ha dato il via da tempo a un’invasione di polpette, iniziata con Cicilla, una polpetteria cooperativa che propone ogni giorno una vasta selezione di palline saporite preparate con prodotti freschi e di qualità, a chilometro zero e da agricoltura biologica; e l’ultimo arrivato, The Meatball Family, un locale tra street food e gourmet, in stile newyorkese, ma tutto italiano nei sapori, che celebra la polpetta in ogni sua manifestazione, proponendone oltre 40 tipologie che vanno da quelle di carne a quelle di pesce fino alle vegetariane.
Esiste tuttavia ancora un limite legato al ritorno di questo grande classico, ossia la diffidenza da parte degli chef più rinomati di proporlo nei propri ristoranti. In verità è difficile capirne il motivo, in quanto un cuoco stellato che ha appreso i segreti delle polpette dalla mamma o dalla nonna e ha aggiunto il proprio know-how legato allo studio e alla ricerca delle materie prime, non può che creare delle polpette eccellenti. Eppure qualcuno è arrivato proprio a confessare di adorare le polpette, ma di non poterle mettere in carta in un ristorante stellato, altrimenti “me le tirano dietro”, quasi ci fosse il timore di non riuscire a superare il pregiudizio dei clienti su un piatto considerato “povero”. Pregiudizio in realtà facile da sconfiggere, come dimostra Elio Sironi che nel suo nuovo “attico” milanese, il Ceresio 7, stupisce con le Polpettine di carne di vitello scottate in padella e finite nel forno a legna accompagnate dal pomodoro, purè di patate e una bruschetta di formaggio.
Ma per i più “timorosi”, la polpetta è comunque una freccia al proprio arco, in chiave di appetizer, come al ristorante romano Agata e Romeo, dove Agata Parisella propone delle piccole polpette di pesce come aperitivo, ma, spesso, in casa cucina polpette classiche, secondo la ricetta della nonna: “Ricordo che metteva in un’insalatiera di coccio bianco del macinato di manzo e di vitello, assieme a limone grattugiato, prezzemolo, noce moscata, formaggio grattugiato, un profumo di aglio e mollica di pane ammorbidita nel latte; poi si cuocevano direttamente nel sugo rosso e le mangiavamo dopo la pasta -racconta la chef- Ma penso anche alle polpette il giorno dopo il bollito, quando con i tagli di carne cotti e avanzati, ma sempre di qualità, si faceva un impasto per le polpette, forse in questo caso le più classiche”.
È decisamente a favore delle polpette anche Ilario Vinciguerra che le propone nel suo bistrot, situato al secondo piano della villa a Gallarate (Va) in cui c’è anche il ristorante che porta il suo nome. Due i tipi: le classiche, fatte con carne e pane ammollato nel latte, fritte e poi cotte nel sugo di pomodoro; e quelle che invece, come spiega lo chef, sono un ricordo di quando era bambino, le polpette di melanzane che “vengono prima bollite, poi strizzate e saltate in padella; di seguito aggiungo del pane ammollato nell’acqua, uova, pecorino romano, sale e pepe; le polpettine poi si friggono per essere servite sia bianche, sia con il sugo di pomodoro. Mia nonna le faceva in questo modo e, quando eravamo piccoli e andavamo al mare, noi bambini mangiavamo spesso il panino con le polpette. Per questo la polpetta è un piatto unico, gustoso, sugoso, economico, popolare, che ricorda l’infanzia e che piace un po’ a tutti, agli adulti come ai ragazzi”.
Quindi la polpetta è una cosa buona, come la mamma, anche se molti chef hanno una sorta di timore reverenziale nell’inserirle nei propri menu, quasi come se temessero di non essere all’altezza di quelle sfere perfette e gustose create dalle mani delle mamme e delle nonne. Però se stanno nascendo ristoranti dedicati, significa che il pubblico apprezza. Segno, questo, che è ora di ricercare, studiare, immaginare, indovinare gli ingredienti per… la polpetta perfetta!
Foto: Bolpetta – Costa Group; M. Princiotta
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