Nell’ultimo anno la crisi si è fatta sentire maggiormente, eppure la birra è riuscita a chiudere con un sostanziale pareggio, con produzione in calo del -0,3% ma consumi in salita del +0,3%. L’export, anche se in leggera flessione, si conferma poco al di sotto dei 2 milioni di ettolitri, il doppio del 2007 ultimo anno pre-crisi. Preoccupa il calo dell’occupazione, passata da 144.000 a 136.000 addetti, indotto compreso. Il settore si trova ad affrontare anche l’aumento delle accise che, secondo lo studio REF Ricerche, non porterà il gettito sperato e metterà a rischio altri posti di lavoro, ma c’è ancora tempo per fermare l’ultimo aumento previsto il 1° gennaio 2015
Il 2013 segna il passo con un mercato della birra che si conferma flat. Risultato migliore rispetto a quello del mercato alimentare, che ha registrato un calo dei consumi del -4%. Un equilibrio che appare, però, fatto di luci e ombre. Se da un lato i consumi di birra in Italia crescono di un +0,3% la produzione scende del -0,3%. Ma il dato che preoccupa di più è quello occupazionale: il 2013 registra una perdita di 8mila posti di lavoro tra diretti e indotto, per un totale di occupati passati da 144mila a 136mila (-5,6%). Una situazione, quella occupazionale, che rischia anche di peggiorare. L’aumento delle accise, deciso dal Governo nell’autunno scorso e scattato il 10 ottobre 2013 e il 1° gennaio 2014, secondo lo studio REF Ricerche rischia di avere un effetto negativo sui posti di lavoro. Ora AssoBirra è impegnata per fermare l’ultimo aumento previsto il 1° gennaio 2015, che se dovesse scattare porterebbe ad un aumento generale dell’accisa del +30% in pochi mesi. Come sottolinea, Tommaso Norsa, neo-eletto Presidente di AssoBirra: “L’anno appena concluso ci ha regalato risultati migliori di quanto sperato, soprattutto se confrontati col resto del mercato alimentare, ma anche uno scenario a forte rischio stabilità considerando l’aumento delle accise in atto. Sta cambiando lo scenario generale e questo colpisce tutta la filiera, come dimostrano il calo dell’occupazione, il fatto che nei primi mesi del 2014 sia diminuito il numero di aperture di micro birrifici, oltre al fatto che si consuma birra sempre più in casa e sempre meno fuori, privilegiando peraltro prodotti a basso costo rispetto ai segmenti top. Avvertiamo una contrazione della fiducia nell’investimento nel settore e questo deve far riflettere, perché si stima che 1 posto di lavoro nel mondo della birra ne generi 24,5 nell’ospitalità (bar, ristoranti, alberghi), 1 nell’agricoltura, 1,3 nella supply chain (imballaggio, logistica, marketing e altri servizi) e 1,2 nella distribuzione (GDO e dettaglio). Credo sia giusto, soprattutto in questa fase, tutelare questo settore e aiutarlo a crescere”.
Produzione birra a -0,3%. Italia decima in Europa, ma cresce la produzione di malto (3,8%)
I 16 stabilimenti industriali e i 495 microbirrifici italiani (per un totale di 511 impianti complessivi) hanno prodotto complessivamente nel 2013 ben 13,2 milioni di ettolitri di birra (-0,3%). Un dato stabile, che permette all’Italia di confermarsi come decimo produttore europeo, sebbene distante da Germania (93,4 milioni di ettolitri), Regno Unito (41,9 milioni di ettolitri) o Polonia (39,6 milioni di ettolitri). Del totale di birra prodotta in Italia, 1milione e 927mila ettolitri vengono esportati (ossia il 14,5% del totale prodotto), mentre il resto ha soddisfatto circa i due terzi della domanda interna di birra, attestatasi a 17milioni e 502mila ettolitri.
Molto bene la produzione di malto, che come sempre viene interamente assorbita dall’industria italiana, che sale a 673.700 quintali (+3,8% rispetto al 2012), confermando un trend di crescita positivo.
Export “fiore all’occhiello”, ma in calo nel 2013 mentre importazioni restano stabili (+0,3%)
La birra italiana continua a rappresentare un fiore all’occhiello del Made in Italy, grazie ai quasi 2 milioni di ettolitri esportati, ma per il secondo anno consecutivo registra una flessione che porta le esportazioni a 1milione 927mila ettolitri (-3,3% rispetto al 2012). “Quando parliamo di birra parliamo di un prodotto che, laddove possibile, viene realizzato con materie prime nazionali – dichiara Norsa – quindi essere riusciti a mantenere, in questi anni di crisi dei consumi interni, le esportazioni vicino ai 2 milioni di ettolitri ha permesso al settore di restare competitivo e di far conoscere nel mondo l’eccellenza del Made in Italy”.
In termini di destinazioni, il mercato UE ha assorbito il 68% del totale, con la Gran Bretagna a fare la parte del leone con quasi 1 milione di ettolitri importati dall’Italia. Tra i Paesi extra-europei, Stati Uniti (quasi 170.000 ettolitri), Sudafrica (oltre 162.000), Albania (62.000) e Australia (27.000), sono le destinazioni principali del prodotto.
Dall’altro lato, dopo il calo dello scorso anno, l’import torna a stabilizzarsi (+0,3%). Nel 2013, infatti, sono stati importati 6milioni e 175mila ettolitri. Il principale Paese esportatore di birra in Italia si conferma la Germania, con 3milioni e 140mila ettolitri (50,8% del totale delle importazioni). L’Italia continua ad importare dagli altri Paesi UE la quasi totalità (96%) del fabbisogno di birra non coperto dalla produzione nazionale. Il nostro Paese resta il mercato con i maggiori volumi di import di birra, complice anche una competizione fiscale sleale da parte di vari paesi europei, fondata su norme nazionali poco rigorose sulla denominazione del prodotto (gradi plato) che permettono di commercializzare a prezzi molto competitivi (e con una tassazione più bassa) birre di minor qualità, che rischiano di mettere fuori mercato gli operatori italiani.
Il leggero calo dell’export e la lieve crescita dell’import hanno fatto aumentare di poco il tradizionale saldo commerciale negativo del mercato birrario italiano, attestatosi nel 2013 a -4milioni e 248mila ettolitri rispetto ai -4milioni e 165mila del 2012 (+2%).
Occupazione -5,6% (indotto compreso) e con aumento accise a rischio altri 2.400 posti
Nel 2013, però, la nota negativa arriva dal fronte occupazionale, con diversi elementi che preoccupano anche per il futuro. Gli occupati, indotto compreso, sono passati da 144mila a 136mila (4.750 diretti, 12.250 indiretti e 119.000 nell’indotto allargato). Un dato che, se unito al calo di aperture di nuovi microbirrifici registrato all’inizio del 2014 (-65% rispetto ai primi 4 mesi del 2013) impone una riflessione. “Negli ultimi anni le nostre aziende hanno saputo mantenere posti di lavoro, andando addirittura a crescere grazie anche alla nascita di nuovi piccoli birrifici – spiega Norsa. Purtroppo il contesto generale ha cambiato lo scenario in cui operiamo. L’aumento delle accise deciso dal Governo secondo lo studio REF Ricerche rischia di incidere anche in termini di occupazione, per questo faremo il possibile per fermare l’aumento del 1° gennaio 2015, come fatto a marzo di quest’anno, evitando così un grave danno per un settore che, per sua natura, è caratterizzato da un’industria non delocalizzabile che va valorizzata al massimo e sostenuta”. Lo studio REF Ricerche stima che, complessivamente, l’aumento delle accise deciso dal Governo potrebbe generare la perdita di circa 2.400 posti di lavoro.
Consumo procapite stabile a 29,2 litri, ma cresce il consumo in casa a scapito del fuori-casa
I 17milioni e 504mila ettolitri di birra consumati nel 2013 hanno segnato un lievissimo aumento (+0,3%) rispetto ai 17milioni e 458mila del 2012. Dall’altra parte, però, il consumo pro capite rimane invariato: 29,2 litri annui contro i 29,3 del 2012; valore che conferma l’Italia all’ultimo posto per consumi di birra in Europa, distante da Repubblica Ceca (144 litri procapite), Germania (107), Austria (106) ma anche da realtà “mediterranee” come la Spagna (47,5) e la Grecia (38,3).
Nel dettaglio, fa riflettere il cambiamento della composizione dei consumi: la crisi economica – combinata con l’aumento dei prezzi provocato dagli incrementi fiscali del 2013 – ha comportato l’accentuarsi di due fenomeni. Da una parte cresce una dimensione più domestica del prodotto, con consumi di birra che si spostano dal cosiddetto Fuori Casa (On Trade) all’acquisto nella distribuzione moderna e tradizionale (Off Trade): rispetto al 2012, il primo è sceso dal 41% al 40,3%, mentre il secondo è corrispondentemente salito dal 59% al 59,7. Si riduce dunque percentualmente il consumo fuori casa (bar, ristoranti, pub, ecc.) mentre aumenta il numero di coloro che acquistano birra per poi berla fra le pareti domestiche. Altro fenomeno rilevante per il settore è lo spostamento verso i prodotti più economici. Relativamente alle tipologie di birra, i segmenti top del mercato – che consentono marginalità più alte al settore – hanno registrato una evidente flessione: la quota di mercato delle Specialità è scesa di quasi due punti, dal 13,4% all’11,5%, quella delle Premium di oltre tre punti e mezzo, dal 30,3% al 26,7%. Ciò a tutto vantaggio delle birre di minor prezzo, in particolare il Main stream, salito dal 47% al 51%, e le Private Label, passate dal 6,4% al 7,7%.
Accise a +30%, calo dell’occupazione e aumento dei prezzi
L’aumento delle accise del +30% deciso dal Governo nell’autunno scorso rischia di mettere in crisi il settore, aumentare i prezzi del prodotto facendo calare i consumi, ridurre gli introiti per lo Stato e far perdere posti di lavoro. Ad oggi sono già scattati due aumenti, il 10 ottobre 2013 e il 1° gennaio 2014, mentre a marzo è stato congelato il terzo dei quattro previsti, primo segnale concreto di attenzione da parte del mondo politico alle istanze portate avanti da AssoBirra. L’obiettivo dell’Associazione è quello di provare a fermare l’ultimo aumento previsto a partire dal 1° gennaio 2015. Per riuscirci, AssoBirra ha lanciato nei mesi scorsi la campagna “Salva la tua birra” per sostenere una petizione che invitasse il Governo a fermare questo ulteriore aumento. Lo studio REF Ricerche evidenzia come l’aumento dei prezzi e il conseguente calo dei consumi di birra metterebbe a rischio circa 2.400 posti di lavoro. Ad oggi oltre 110mila persone hanno già firmato su www.salvalatuabirra.it la petizione. “La scelta di aumentare le accise sulla birra è a nostro avviso ingiusta oltre che inefficace – conclude Norsa. Ricordiamoci che la birra è l’unica bevanda da pasto tassata con le accise in Italia. Bisogna capire che se il peso fiscale (accisa più IVA) su una bottiglietta di media gradazione da 66cl acquistata al supermercato a 1 euro è oggi pari a circa il 40%, a gennaio sfiorerà il 45%: quasi un sorso su due di quella birra se lo berrà, di fatto, il fisco”.
Il settore birrario contribuisce in maniera importante all’economia italiana. Ha acquistato beni e servizi per circa 1 miliardo di euro e tra i beneficiari ci sono il mondo dell’agricoltura (100 milioni di euro), di cui il settore birrario assorbe – ad esempio – tutta la produzione di orzo; l’industria del packaging (400 milioni); gli altri servizi (150 milioni). Nel 2013, il valore aggiunto complessivo collegato alla produzione e vendita di birra è stato stimato in circa 3,2 miliardi di euro, di cui 2,4 provenienti dalla sola ospitalità, mentre nelle casse dello Stato sono entrati circa 4 miliardi di euro tra accise, Iva, imposte sui redditi e sui salari, contributi sociali nel settore birrario e in quelli ad esso collegati.
Stima REF Ricerche che, un aumento delle accise di 10 centesimi al litro (corrispondente all’impatto dei vari innalzamenti dell’accisa programmati da ottobre 2013 a gennaio 2015) porterà dunque un aumento del prezzo medio di circa il +2%, con punte del +7% nel canale GDO. Con una diminuzione delle quantità complessive consumate di quasi il -5%, più di 800.000 ettolitri di birra (la GDO ne risentirà per il -7% e l’horeca per il -0,6%). Secondo lo studio REF Ricerche, a fronte dei 177 milioni preventivati dall’aumento delle accise, ne arriveranno nelle casse dello Stato appena 116, ai quali vanno però sottratti ulteriori 48 milioni, effetto negativo in termini d’introito fiscale per il calo del PIL causato dalla flessione dei consumi. Alla fine lo Stato si ritroverà ad aver incassato solo 68 milioni di euro effettivi, avendo però prodotto un effetto drammatico sui posti di lavoro (-2400 complessivi), in settori a forte impiego giovanile. E pensare che se il nostro Paese non avesse un peso della fiscalità così alto sulla birra, potrebbe generare occupazione in maniera molto consistente. Il REF ha stimato gli effetti positivi di un sistema con le accise italiane che scendono (di 3 o 4 volte) fino al livello di quelle spagnole e tedesche: il risultato, con i suoi 5.000 posti di lavoro generati in più, è davvero sorprendente.
AssoBirra conferma l’impegno sul consumo responsabile
Nel 2013 AssoBirra ha mantenuto costante l’impegno sul fronte del consumo responsabile grazie al “Guida Tu la Vita. O Bevi O Guidi Experience Tour”, che è partito da Torino e ha raggiunto Genova, Verona e Rimini, Roma, Salerno e Lecce, con l’obiettivo di mostrare ai ragazzi i rischi che si corrono a guidare dopo aver bevuto. Un percorso, quello del consumo responsabile, avviato da AssoBirra già nel 2007 con campagne come 2007 “Se aspetti un bambino l’alcol può attendere”, destinata alle donne in gravidanza o che stanno provando ad avere un bambino; “Diglielo tu”, indirizzata ai giovani; “Le parole per dirlo. Parlare di alcol tra genitori e figli”; oltre alle edizioni precedenti di “O Bevi O Guidi”.
IL SETTORE DELLA BIRRA IN ITALIA
13.256.000 ettolitri prodotti in Italia nel 2013
1.927.000 ettolitri esportati nel 2013
17.500.000 ettolitri di birra consumati in Italia nel 2013 (+0,3 rispetto al 2012)
Oltre 136.000 posti di lavoro, fra diretti, indiretti e indotto allargato (-5,6%)
511 unità produttive, fra impianti industriali (14), malterie (2) e micro birrifici (495)
Circa € 4.000.000.000 di entrate annue per lo Stato (tra Iva, accise, contributi, ecc.)
€ 1.000.000.000 investiti ogni anno in Italia nell’acquisto di beni e servizi
€ 3.200.000.000 di valore aggiunto
29,2 litri di birra procapite bevuti in Italia nel 2013
40,3% birra venduta in Italia nel mercato “fuori casa”
59,7% birra distribuita in Italia nella GDO e nell’alimentare tradizionale
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