Si scrive pinot nero e si legge Borgogna, la regione della Francia dove questo vitigno raggiunge la sua massima espressione qualitativa dando alcuni vini leggendari. Eppure -sorpresa- il vitigno francese per antonomasia è già presente nell’Antica Lucania, una regione più ampia dell’attuale Basilicata i cui vini erano conosciuti e apprezzati fin dal VII secolo a.C. durante la colonizzazione greca. Emerge da uno studio sulla biodiversità viticola lucana –BasivinSud. La ricerca del germoplasma viticolo in Basilicata (2016)- che ha combinato strumenti come biologia molecolare, genetica, ampelografia e agronomia con dati e metodologie sviluppate dalle scienze storiche, archeologiche e antropologiche.
L’Antica Lucania -denominata Enotria a indicare che la vite veniva coltivata con il sostegno di un palo- si estendeva dal Vesuvio al Vulture, fino al massiccio del Pollino, a cavallo tra quelle aree che oggi appartengono a Basilicata, Calabria e Campania. Qui sarebbe stato selezionato il pinot nero, individuato come progenitore dell’aglianico prima e poi di dureza e mondeuse, da cui discende il syrah.
L’arrivo in Francia di pinot nero, dureza e syrah si deve ai Focei, i primi coloni greci che navigarono su lunghe distanze, che dalla seconda metà del VI secolo a.C aprirono il collegamento tra la città della Magna Grecia da loro fondata in Cilento -Elea (poi denominata Velia in epoca romana)- e Massalia (in epoca romana Massilia; l’attuale Marsiglia) colonia greca posta alla foce del Rodano. Da qui, risalendo il fiume, dureza e syrah si sono fermati nell’alta Valle del Rodano, mentre il pinot nero è arrivato più a nord in Borgogna.
Nell’Ottocento, secondo la Statistica Murattiana del 1811, pinot nero e syrah erano stati censiti nelle zone fredde della Basilicata: la presenza era residuale e senza interazioni con le altre varietà diffuse nell’area. Inoltre -secondo le ricerche condotte da Paride Leone dell’azienda Terra dei Re che ha piantato, in condizioni che gli sono molto favorevoli, a 800 metri di altitudine sui terreni vulcanici del Vulture- il pinot nero era presente alla prima mostra enologica lucana di Potenza nel 1887. E l’enologo astigiano Giovanni Bianchi ne parlava nel 1893 durante la sua reggenza della Regia Cattedra Ambulante di Viticoltura ed Enologia con sede a Rionero in Vulture. Poi se ne sono perse le tracce, probabilmente perché a prendere il sopravvento caratterizzando la produzione nell’area è stato l’aglianico del Vulture, ricercato -prima della recente valorizzazione- come vino da taglio per la sua grande struttura e i suoi tannini. Oggi la Basilicata si aggiunge alle numerose regioni del mondo in cui i produttori con ossessiva dedizione si misurano con quello che è considerato uno dei vitigni più difficili.
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