Definito il Caravaggio iberico e ritenuto da Dalí la figura più rappresentativa del genio spagnolo, Francisco de Zurbarán è protagonista con le sue opere, per la prima volta in Italia, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, fino al 6 gennaio 2014. Pittore seicentesco, tradusse il miracoloso e l’ultraterreno in visioni potenti
Irene Catarella
A Ferrara fino al 6 gennaio 2014, Palazzo dei Diamanti, capolavoro architettonico rinascimentale voluto dagli Estensi, è il palcoscenico di una mostra unica per la nostra penisola, quella delle opere di Francisco de Zurbarán, pittore seicentesco che, con Diego Velázquez e Bartolomé Esteban Murillo, fu uno dei massimi esponenti del Siglo de oro, il secolo d’oro spagnolo. Quarantanove le opere provenienti da musei e collezioni private europee e americane per ripercorrere la carriera di un artista che, per l’uso sapiente della luce, è stato definito il “Caravaggio” spagnolo.
Salvador Dalí nel 1951 aveva intuito che Zurbarán avrebbe stupito tutti apparendo con il passare del tempo un pittore sempre più moderno per il realismo assoluto con cui ritraeva persone vere, non idealizzate. Un realismo tanto perfetto da essere capace di rendere visibile l’invisibile, traducendo il miracoloso e l’ultraterreno in visioni potenti. I santi, le sante, i personaggi biblici da lui rappresentati sono simili a gente del popolo di Siviglia, città in cui apprese a dipingere e dove passò la maggior parte della sua vita, e a eleganti donne di corte sontuosamente abbigliate, come la Santa Casilda del 1635, che si impone sullo spettatore per il suo fascino e la sua personalità. La santa è raffigurata con un abito di broccato e un’acconciatura ricercata, per ricordare le sue nobili origini, mentre incede sicura guardando l’osservatore, il quale non può non restare colpito da una figura così solenne che emerge da un fondo neutro e opaco, avvolta in una luce estremamente teatrale, tradizionalmente riservata alle star. Zurbarán usa la luce come strumento del divino ed espressione del trascendente che si incarna nell’autorevolezza e nella bellezza di un’immagine unica, sia nei particolari anatomici e decorativi, sia nelle movenze. E, ancora, misterioso e quasi stupito lo sguardo della Santa Orsola del 1635, anch’essa riccamente ammantata, in una posa quasi danzante con il suo “cavaliere” simbolico, cioè una freccia che tiene in mano e che è quella che la uccise. Zurbarán è immerso nell’atmosfera della Controriforma in cui le famiglie aristocratiche chiedevano agli artisti quadri devozionali che potessero raccontare le storie della sacra famiglia, la fede, il grande coraggio dei martiri nel testimoniarla e i dogmi mariani.
Del pittore, originario di Fuente de Cantos, che visse dal 1598 al 1664, sono esposte le rare e preziose nature morte che costituiscono un capitolo fondamentale della sua produzione e non hanno precedenti nel panorama della pittura seicentesca europea. La loro composizione monumentale, nonostante le dimensioni ridotte, e la loro essenzialità formale, unita a una magistrale costruzione della tridimensionalità per mezzo della luce, hanno influenzato artisti moderni come Giorgio Morandi e Pablo Picasso. La disposizione degli oggetti, come nella Natura morta con tazze e vasi, è talmente perfetta e studiata da far trapelare un simbolismo religioso sostenuto da un sentimento devozionale molto forte. Si nota questa peculiarità soprattutto nell’opera Una tazza d’acqua e una rosa su un piatto d’argento, perché sembra quasi un palese omaggio alla Madonna, con l’acqua che allude alla purezza della Vergine e la rosa come chiaro riferimento al suo appellativo di “rosa mistica”. Questo riferimento a una realtà più alta trapela anche dall’utilizzo di una prospettiva invertita, che enfatizza la geometria essenziale dei volumi, catapultandoli in una dimensione assoluta. Così, la bellezza dei frutti della terra domina il Cesto di mele, melagrane e fiori, tanto da sancire una sacralità della materia che, se contemplata e gustata, nutre il corpo e l’anima, in quanto, come l’essere umano, è anch’essa opera di Dio.
Zurbarán ha rivoluzionato l’iconografia di santi molto noti come il “poverello” di Assisi: il suo San Francesco, con il volto coperto dal cappuccio, emerge, infatti, dall’ombra in una dimensione verticale per testimoniare l’autorevolezza della sua personalità, nonostante la semplicità dei costumi di vita, sensazione resa ancora più evidente dalla mancanza del tradizionale contesto ambientale in cui veniva solitamente ritratto. Ma anche i riferimenti simbolici a Cristo sono dipinti dall’artista in modo unico ed esemplare. È il caso dell’Agnus Dei, l’agnello di Dio, in cui persino i riccioli di lana vengono rappresentati in modo maniacale, proprio a sottolineare l’importanza di ciò che rappresenta l’animale. Nella versione in mostra, la scritta tamquam agnus, come l’agnello, e l’aureola non lasciano spazio a dubbi sul riferimento cristiano dell’immagine: la dolcezza del muso e dello sguardo dell’agnello, la maestria della resa delle diverse gradazioni di bianco del vello, dimostrano la capacità inimitabile di Zubarán di esprimere in modo quasi palpabile una realtà trascendente e divina attraverso il verismo della materia.
Il ristorante
La classe e la passione de Il Don Giovanni
“Una cucina legata al territorio perché bisogna contestualizzarsi enogastronomicamente in un’area geografica ben precisa, con i prodotti tipici e le sue tradizioni, se si vuole capire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo”: questa la filosofia di Marco Merighi, patron, insieme allo chef Pier Luigi Di Diego, del ristorante Il Don Giovanni che sorge nell’ex palazzo della Borsa di Ferrara, ma anche del bistrot e winebar annesso al locale. Una tradizione da cui prendono spunto le nuove ricette create dall’istintivo chef, dotato di una straordinaria sensibilità nell’utilizzo delle materie prime che gli permettono di spaziare a tutto tondo. Marco Merighi, con la moglie Francesca Conti, si occupa dei clienti parlando la lingua della cucina e producendola in tavola, tanto da rispondere perfettamente a qualsiasi curiosità, anche quella più tecnica relativa ai tempi di cottura.
Il Don Giovanni, corso Ercole I D’Este 1, Ferrara, tel. +39 0532.243363, www.ildongiovanni.com
L’albergo
Nobile soggiorno al Duchessa Isabella
Una cinquecentesca dimora signorile, patrimonio delle Belle Arti, per chi vuole tuffarsi nell’atmosfera sontuosa e aristocratica della corte estense: l’Hotel Ristorante Duchessa Isabella promette un soggiorno all’altezza, preannunciato dall’imperiale scalone coronato da colonne in stile ionico. L’accoglienza e l’attenzione al cliente sono le punte di diamante dell’albergo, dedicato alla duchessa appassionata di banchetti che per prima commissionò un servizio da tavola in ceramica graffiata nel 1490 a Nicola d’Urbino. La struttura è dotata di una spa all’avanguardia oltre che di suite a tema che richiamano una bellezza antica e nobiliare. La famiglia Bonzagni, proprietaria dal 2000, organizza serate musicali per gli ospiti e mette a disposizione una carrozza con cavallo, recante l’effigie della dama, per un’originale visita nel centro storico.
Hotel Ristorante Duchessa Isabella, via Palestro 70, Ferrara, tel. + 39 0532.202121, www.duchessaisabella.it
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