Originario dell’America settentrionale, questo tubero che cresce selvatico ai confini dei campi e accanto ai corsi d’acqua, per anni dimenticato, è oggi rivalutato in cucina da importanti chef per via del suo gusto dolce e per le eccezionalità virtù terapeutiche
Jenny Maggioni
Brutti ma buoni. E amanti della compagnia: i topinambùr, infatti, si aggregano, si infoltiscono e, con i loro fiori simili a quelli del girasole, portano luce in quei luoghi dimenticati, come i terreni umidi vicini ai corsi d’acqua e gli angoli ai margini dei campi coltivati. Originari delle praterie del Nord America e in particolare del Canada (il nome deriva da una tribù indiana dell’America settentrionale), a partire dal XVII secolo si diffusero molto rapidamente in Europa, inizialmente come cibo facile per cavalli e suini e successivamente, insieme alla patata, come alimento fondamentale per gli uomini nei periodi di carestie. In Italia è segnalato per la prima volta dal naturalista e botanico napoletano Fabio Colonna che lo cita nell’Ekphrasis altera del 1616. Ma, dopo il grande successo iniziale, con il passare dei secoli i topinambùr sono andati via via in disuso e, ad esempio, oggi nel nostro Paese se ne coltivano poco più di 5 mila quintali, una parte dei quali è esportata, soprattutto nel Nord Europa. Tuttavia, e per fortuna, questo tubero cresce spontaneamente: un simbolo della forza vitale e liberatrice della natura come lo ha definito Andrea Zanzotto nelle sue poesie.
E oggi, sono molti gli chef che sono stati conquistati dalla bontà di questo tubero dalla polpa carnosa e biancastra e dal sapore delicato e dolce e ricco di importanti proprietà per il benessere psico-fisico. In cucina è, infatti, molto versatile: può essere consumato cotto e crudo; ottimo grattugiato o servito in insalata, ma si può anche preparare al gratin o nel risotto al quale dona un gusto particolarmente delicato. Secondo la ricetta dei nativi americani si può masticare come se fosse semplicemente un ravanello. Senza dimenticare la bagna càuda piemontese di cui è uno degli ingredienti indispensabili. Ed è proprio dal Piemonte che parte la sua “rimonta” nei piatti dell’alta cucina. Per Massimo Camia, uno dei cuochi più prestigiosi della regione, che lo scorso settembre ha inaugurato il ristorate che porta il suo nome nella sede della Cantina Damilano a La Morra (Cn), il topinambùr, o come lo chiama, il tafano, è un ingrediente essenziale della sua cucina da metà settembre fino alla fine di gennaio, proprio in quanto prodotto “autoctono”, che si procura esclusivamente dal “mio verduriere di fiducia che me li dà bianchissimi e selezionati nel calibro”: “È una radice molto interessante perché si accosta con diverse carni e anche con i crostacei. Lo uso spadellato con l’Uovo bazzotto, nappato di fonduta di toma d’Oropa e vi accosto delle chips di topinambùr fritte, molto piacevoli perché danno una nota di croccantezza. Ma è buonissimo anche nei Pansotti di crostacei come fondo di accompagnamento”.
Si è spinto ancora più in là Eugenio Jacques Christian Boer, giovane chef che sta per aprire un ristorante tutto suo, trasformando il topinambùr in un dolce, con il quale ha vinto la menzione speciale per il miglior abbinamento al Premio Birra Moretti Grand Cru 2012, concorso nazionale promosso da Birra Moretti in collaborazione con Identità Golose e rivolto agli chef italiani under 35 con la passione della birra in cucina: “Sono l’unico che lo ha fatto per ora. Il mio Topinambùr, cioccolato bianco, arancia, marroni e Moretti Grand Cru è piaciuto a tutti. Ho utilizzato questa radice senza sbucciarla e, cuocendola sottovuoto con la birra e con delle spezie, come cannella, chiodi di garofano, pepe nero, rosmarino e bucce d’arancia e zucchero, la buccia è rimasta intatta, mentre l’interno era diventato non dico cremoso, ma molto morbido. L’ho sistemato su un crumble di nocciole, arance, rosmarino e cacao con un gel di marroni e un mousse di cioccolato bianco bruciato al centro, giocando con questo ingrediente che tutti considerano brutto. Ma il topinambùr è molto duttile in cucina per il sapore molto simile al carciofo e al cardo: lo si può mangiare crudo; come crema di fondo in un primo piatto o nei secondi, come nelle mie tre versioni dell’agnello dei Pirenei con fave e topinambùr”.
Ma non solo al ristorante, anche a casa il topinambùr sta vivendo la sua straordinaria riscoperta, come alimento naturale e come alleato per la salute e per la dieta. Il topinambùr ha, infatti, poche calorie e pochi grassi oltre che pochissimo sodio, ma è ricco di fibre, di potassio, di ferro e di vitamine A e B e di carboidrati, tra i quali l’inulina che gli dà il tipico sapore dolce e che riduce la formazione di gas a livello intestinale e ne riequilibra la flora interna. Ottimo per tenere sotto controllo diabete e colesterolo, il topinambùr probabilmente al primo impatto non sarà in linea con le moderne “leggi” del food style, ma per il gusto e grazie alle sue molteplici virtù è di certo il cibo ritrovato per migliorare la nostra alimentazione e le nostre città, insegnandoci a guardare queste piante (e la nostra vita) sotto un’ottica diversa: non infestanti ma importanti vagabonde, come ci insegna il Gilles Clément, il teorico del terzo paesaggio e del giardino in movimento.
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