Roberta Schira, scrittrice e giornalista gourmet, sfida critici, giornalisti e blogger con Mangiato bene?, in cui svela i criteri universali grazie ai quali riconoscere un ristorante. Un libro che vuole frenare le recensioni selvagge insegnando a valutare l’esperienza gastronomica
Barbara Amati
“Il Buono è universalmente riconoscibile, quindi il Buono è oggettivo. E se lo è, applicando alcune regole all’esperienza gastronomica, noi siamo in grado di esprimere un giudizio, e di farlo con un alto grado di oggettività: questo perché si tratta di regole universali, cioè applicabili a tutte le cucine del mondo, a un ristorante di Hong Kong come a uno di Gongonzola”. Roberta Schira, scrittrice e gourmet prestata al giornalismo (ha una rubrica di critica gastronomica sul Corriere della Sera e altre testate ed è, tra l’altro, food consultant per finedininglovers.com, uno dei più importanti siti internazionali di cultura del cibo), partendo da questa convinzione, è decisa -con un po’ di presunzione, ammette- a rivoluzionare il modo di giudicare la cucina di uno chef mettendo nero su bianco le 7 regole per riconoscere il locale perfetto e la buona tavola. E lo fa con il libro (il suo dodicesimo) Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina, Salani Editore. “Se il Buono fosse soggettivo, allora chiunque potrebbe alzarsi una mattina qualsiasi e decidere di stroncare un ristorante giocando a fare il critico nel nome della soggettività più assoluta, come spesso avviene, in particolare, sul web”: un milione e mezzo di italiani critica e scrive giudizi su Trip Advisor”, puntualizza la Schira. Chi vuole giudicare e capire il cibo deve assaggiare, studiare, fare domande e comparare, per uscire dallo stretto recinto del nostro cibo interiore (quello dei nostri ricordi) per arrivare il più possibile vicino all’obiettività. Da una parte, questo democratizza il potere dei critici e, dall’altra, rende le persone responsabili insegnando come riconoscere il Buono: “Tutti stilano giudizi, ma con quali criteri li formulano? Nessuno ha mai spiegato come si valuta una cucina: guide e blog non rendono pubblici i principi su cui si basano. E se c’è una cosa che fa arrabbiare cuochi e ristoratori è proprio trovarsi si fronte all’incapacità di chi scrive di cibo, all’ignoranza di chi li giudica. Mentre, secondo me, sarebbero più sereni se il giudizio in questione derivasse da criteri il più possibile universali, condivisi: gli stessi per tutti, critici e clienti. E in fondo al libro c’è la scheda di valutazione delle 7 regole che ognuno può portare con sé al ristorante e dare i voti. E’ un gioco che insegna a riconoscere ciò che è buono, a valutare un locale secondo criteri oggettivi”. Nella seconda parte del volume, invece, si dà spazio a 19 personaggi del mondo del cibo, dell’economia e della cultura (da Massimo Bottura a Oscar Farinetti, da Carlo Petrini a Clément Vachon) che esprimono la propria opinione sulla critica culinaria e sul futuro della cucina.
Da sempre appassionata di cucina, Roberta Schira non pensava che la sua passione la portasse alla scrittura. Laureata in Lettere con indirizzo psicologico, ha compreso l’importanza di ciò che è buono già a 7 anni: il papà aveva un caseificio e quando le fece assaggiare un pezzetto della crescenza di sua produzione le spiegò che, per capire se era buona, doveva avere in fondo un sapore di nocciola: “Ho scoperto che ogni alimento deve avere 2, 3, 4 gusti che si sommano l’uno all’altro e questo mi ha aperto un mondo”. Da adulta ha così cominciato a studiare per capire meglio e approfondire l’argomento cibo. Claudio Sadler è il suo grande maestro: ha seguito i suoi corsi di cucina e poi, insieme, hanno scritto Menù per quattro stagioni che ha venduto 100 mila copie in 10 anni. Un libro che ha fatto scuola. Cremasca, Roberta non potrebbe vivere senza un invito a cena e una camminata di un’ora in mezzo alla campagna. Ama leggere, scrivere, cucinare e viaggiare. In media va al ristorante 4-5 volte alla settimana, rigorosamente per piacere: “Amo il confronto con gli chef e mi piacciono i sapori riconoscibili: adoro la tradizione ma anche l’avanguardia e scoprire strade nuove. E mi piace essere stupita…”.
Ma sveliamo il mistero: quali sono queste sette regole? “La prima è Ingredienti: saper scegliere il meglio che offre il mercato, soddisfacendo i requisiti di qualità e freschezza. Le cose sono buone quando hanno il sapore di quello che sono, diceva Curnonsky, uno dei primi critici gastronomici. E questa è indiscutibilmente la regola più importante che contiene il concetto di rispetto della materia prima. Nessun bravo cuoco può ottenere un buon risultato se parte da materie mediocri, mentre è vero il contrario, cioè che un cuoco mediocre può riuscire a tirar fuori qualcosa di buono se ha a disposizione ottimi ingredienti”.
La seconda regola è Tecnica: saper manipolare e trasformare la materia in piatto finito nel rispetto della sua essenza, della tradizione e della scienza. La conoscenza della chimica e della fisica affianca la tradizione per costituire le fondamenta tecniche su cui si reggono le conoscenze di un cuoco.
La terza è Genio: la capacità di trasformare il passato in qualcosa di nuovo cambiando strada. Ce l’ha chi osa, chi va contro le regole, chi fa riflettere con un nuovo piatto o con un’impostazione originale della cucina o del locale, che sia un ristorante stellato o una trattoria sperduta.
La regola numero quattro è Equilibrio e armonia: il senso di armonia con se stessi e il mondo durante l’esperienza culinaria. “Nella ristorazione media l’equilibrio va inteso come non predominio di alcun elemento, nell’alta cucina il concetto di equilibrio diventa armonia: ricomposizione delle dissonanze -spiega l’autrice- Non ci si deve limitare a giudicare il singolo piatto, si deve valutare l’esperienza gastronomica nella sua interezza. Infatti, la quinta regola è Atmosfera: l’insieme dei dettagli che fa dire ‘Mi sento bene qui’.
La regola numero sei è Progetto: nascondere dietro un piatto, un luogo, l’idea di un proiettarsi avanti e cioè riconoscere quando dietro un piatto c’è un progetto sociale: ad esempio, Alex Atala, utilizzando la tapioca, ha migliorato la vita dei campesinos brasiliani. Infine, la settima regola è Valore: ciò che crediamo sia giusto dare in cambio dell’esperienza gastronomica che abbiamo vissuto. Quanto ci sentiamo di pagare per quanto ci è stato dato?
Mangiato bene? si rivolge ai critici come ai giornalisti e agli appassionati di cucina, ma anche a chi vuole meglio orientarsi nel mondo della ristorazione. “A me interessa arrivare alla comprensione della buona cucina senza prevenzioni -conclude la Schira- Bisognerebbe porsi senza pre giudizio di fronte al cibo, è la condizione necessaria per tentare un parere onesto e obiettivo sull’esperienza gastronomica. E spero che questo libro contribuisca a ridare dignità a chi lavora con onestà, con l’ambizione vera che non nasconde mai avidità”. Una guida che aiuta a crescere, avvincente come un romanzo.
Foto: Monica Silvia
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