Da sempre il pesce è il protagonista delle tavole, soprattutto con l’arrivo della bella stagione. Da quello di mare a quello di acqua dolce, è una sfida creativa per gli chef più blasonati, che svelano come sceglierlo, pulirlo, prepararlo e abbinarlo al vino
Jenny Maggioni
Un mare di biodiversità. È proprio il caso di dirlo, perché quando si parla di prodotti ittici, dai pesci ai molluschi, fino ai crostacei, è facile perdersi in un bicchiere d’acqua. Il mondo del mare è tanto bello quanto affascinante e per coglierne appieno ciò che cci può donare bisogna imparare a conoscerlo, a valorizzarlo e a proteggerlo. Portare in tavola un prodotto eccellente è frutto di un lavoro costante che esce dalle cucine dei ristoranti di pesce e parte tra i colorati banchi dei mercati ittici o, per i più fortunati, al porto, direttamente sulle navi rientrate dalle notti di pesca. Fondamentale, dunque, è saper scegliere: nel linguaggio ittico si definiscono “vivi” tutti i pesci pescati da non più di un giorno. Ma come riconoscere se il pesce è fresco? Tre sono le caratteristiche che sono immediatamente percepite da un occhio attento: il colore lucido e luminoso delle squame; l’occhio brillante e convesso; il corpo sodo al tatto e le branchie unite. “Ciò che conta di più è imparare a distinguere i colori delle squame e vedere se sono brillanti o meno, in modo da essere sicuri che sia pesce fresco, anche senza guardare branchie e occhio -spiega Sandra Ciciriello, un passato tra le file del Mercato ittico di Milano e oggi braccio destro in sala di Viviana Varese al ristorante milanese Alice- Esistono varie categorie di pesci: quelli grandi con meno sangue, come orate, branzini e dentici, che sono considerati freschissimi dal primo al terzo giorno di pesca. Dal terzo al settimo giorno, la definizione passa a ‘fresco’”. Parametri che valgono in generale per tutti i tipi di pesce, tranne che per quello azzurro, che, piccolo e molto ricco di sangue, tende a deteriorarsi più velocemente, e per i crostacei, esclusi astici e aragoste, che “essendo più grandi, restano ‘vivi’ più a lungo -specifica Ciciriello- Ma cicale di mare, scampi e gamberi meglio acquistarli e mangiarli entro le trentasei ore, altrimenti liberano una secrezione dall’inconfondibile odore di ammoniaca”. Proprio l’olfatto, dopo la vista, aiuta a testare la freschezza dei prodotti ittici: specie come razze e palombi, così come appunto i crostacei, se sanno di ammoniaca è indice che è già in corso il processo di putrefazione. Senza dimenticare il tatto: “Per capire in generale se i molluschi sono freschi, basta toccarli -suggerisce l’esperta- Devono avere una sorta di reazione, come se fossero vivi, dovuta ai tessuti nervosi dai quali sono composti”. Naturalmente, gli stessi criteri di scelta vanno applicati anche al pesce di allevamento, che “ha gli stessi colori di quello pescato ma, in generale, tende a essere più grasso perché ha meno spazio rispetto agli esemplari in mare aperto”.
La cucina di pesce è, insomma, una cucina dei sensi: vista, olfatto e tatto uniti per offrire un appagamento al gusto. Grazie anche alla libertà creativa che lascia: “Il pesce? È talmente vario che davvero offre un mare di possibilità -afferma decisa Viviana Varese, una stella Michelin, con il pesce nel Dna, essendo nata a Maiori (Sa)- Con il pesce ho un rapporto quasi viscerale: toccarlo, pulirlo, cucinarlo mi dà piacere”. Solo una regola di base per lei: “Meno resta in frigorifero, meglio è: io consiglio di acquistarlo e cucinarlo subito -afferma la chef- A parte i frutti di mare, perché sono ancora vivi. E con cotture brevi. Anche per moscardini, seppie e calamari: è sufficiente scottarli. Lo stesso per tranci e frutti di mare da togliere dal fuoco non appena si aprono le valve”. D’altronde se la materia prima è buona e freschissima e nel rispetto della stagionalità come darle torto, a maggior ragione se la nostra passione sono tartare e carpacci: “In questo caso l’attenzione e il rigore sono più che mai importanti -continua Viviana Varese- Innanzitutto, è essenziale acquistare del pesce freschissimo, pulirlo subito e metterlo immediatamente nel congelatore per almeno 96 ore a -18 gradi centigradi- Poi occorre scongelarlo lentamente e prepararlo come prevede la ricetta”. Congelamento e abbattimento delle temperature necessari per eliminare il pericolo delle larve dell’Anisakis nel pesce crudo, ma per il cotto la filosofia di Viviana è “ti pulisco, ti cucino e ti mangio”.
Crudo del Mediterraneo
Ed è proprio il pesce crudo che le regala grandi soddisfazioni culinarie e creative a partire dalla sua prima ricetta personale nel suo primo ristorante, Il Girasole a Orio Litta (Lo), quando il crudo non era ancora di moda: Panzanella con verdure e pezzetti di pane e tartare di pesce crudo. “Volevo creare un piatto di pesce crudo che avesse attinenza con il Mediterraneo -spiega- Ecco quindi l’idea dell’insalata di mare che si mangia al Sud, con l’aggiunta di verdure e crostini di pane”. Una passione che ritroviamo oggi nel menu di Alice con piatti signature come Carpaccio e fantasia, una ricetta complessa con più di quaranta ingredienti, in cui Viviana Varese bilancia il gusto italiano al pesce crudo (filetto di dentice, ombrina, gallinella, palamita e di pesce San Pietro e gamberi rossi) con frutta, come mirtilli, prugna, mela verde, arancia e lamponi e intriganti salse di frutta. Un piatto mutevole perché cambia in funzione della stagione sia per la frutta sia per il pesce: “Ci sono mesi in cui il pescato è più abbondante, in altri meno -afferma Viviana Varese- I frutti di mare invece si possono trovare quasi sempre, anche se in alcuni periodi con maggior fatica”. Ma se il mare “manca” ci si affida all’allevamento? “Orate, branzini e salmoni allevati hanno carni più grasse, quindi meglio non utilizzarli a crudo -spiega la chef- Meglio optare per i pesci più poveri, meno blasonati e poco conosciuti”. Uno su tutti: il centrolofo, dalla “carne molto gustosa che ricorda la ventresca di tonno”.
Proprio questi pesci poveri, ma ricchi di gusto, stanno diventando i protagonisti delle cucine più blasonate, primo fra tutti il pesce azzurro. Acciughe, cefali, palamite, pesci sciabola, pesci spada, ricciole, sarde, sgombri e tonni, con le loro elevate proprietà nutrizionali e con la loro carne gustosa, fanno una gran figura nelle semplicissime ricette della tradizione tornate in auge, come le Alici panate alla griglia, lo Sgombro cotto nell’aceto e le Sarde in saor, alle rivisitazioni più complesse e intriganti come la Ricciola con salsa di porro, basilico e viola, la Caesar salade di tonno con marmellata di Sherry e gelatina al sedano e i Cubetti di spada sciabu sciabu con frigitelli, sedano rapa e ananas di Moreno Cedroni. Ed è intorno al pesce che il bistellato chef de La Madonnina Del Pescatore di Senigallia (An) si è concentrato sin dall’inizio della sua straordinaria carriera, portandolo a creare scenografiche ricette, come Salmone Loch Fyne con crema di Philadelphia e olio affumicato e Grigliata dieci anni dopo, un tripudio di gamberi rossi, code di scampi, pannocchie, rombo, spigola, polpo e seppia, e ad aprire la strada a novità che sono diventate mode, dall’abbinamento tra pesce e selvaggina, come in Ricciola, capriolo, salsa di topinambur e ciliegie, al Susci all’italiana, che non è solo questione di una lettera, ma è l’interpretazione in stile mediterraneo di un classico giapponese: “Quindici anni fa mi sono appassionato al pesce crudo e, stanco del pesce che allora si faceva in Italia, bagnato con il limone e con l’aceto e del sushi cosparso di soia, ho coniato un mio brand, ‘Susci’, come si pronuncia in italiano, e ho iniziato a fare delle ricette diverse per ogni tipo di pesce, ispirate da fiori, colori e poesie, come la Ricciola al tonno con la collatura di alici, che è la mia salsa di soia”, spiega Cedroni.
Il pesce, dunque, ingrediente versatile sul quale sperimentare: “Infatuato dal concetto dell’immortalità del cibo, quello cioè che puoi mangiare tra due-tre anni, ho da tempo realizzato Officina, il laboratorio ittico in cui prepariamo linee di conserve di pesce, bresaole di tonno e di pesce salato, la trippa di coda di rospo e il fegato di coda di rospo, ideale per essere spalmato su tartine di pane caldo, che si possono acquistare da Anikò, la prima salumeria ittica in Italia, a Senigallia, in cui si può gustare pesce affumicato abbinato a salse dolci e salate e lasagne di pesce, ma anche acquistare i nostri salumi di pesce”, continua lo chef.
Dal salato al… “dolce”
E se il susci all’italiana di Cedroni ha fatto scuola, sembra proprio che la parola d’ordine dei ristoranti di pesce sia territorialità, in particolare di quelli che si affacciano sui laghi o sui fiumi, che negli ultimi anni stanno ridando lustro alle tradizionali ricette con i pesci d’acqua dolce. Certo, il pescato d’acqua dolce è più difficile da cucinare e richiede maggior attenzione già nella pulitura, ma mette d’accordo molti importanti chef, primo fra tutti Gualtiero Marchesi che ha dichiarato: “Sono un amante del pesce di lago. C’è chi dice che non sa di niente, che è dolce: l’apprezzo proprio per questo, perché soddisfa il gusto dolce della mia bocca”. E sembra che anche i palati dei buongustai stiano sempre più apprezzando il gusto di persico, lavarello, salmerino alpino, trota, coregone, tinca, arborella, carpa, luccio, cavedano e anguilla, guidati dalle sapienti mani di cuochi stellati dai fascinosi ristoranti vista lago. Come Stefano Baiocco, due stelle Michelin al Villa Feltrinelli di Gargnano (Bs): “In base alla reperibilità utilizzo i pesci del Lago di Garda, dal coregone alla trota salmonata gigante, dal salmerino al luccio, in diverse preparazioni, dagli antipasti ai primi piatti, dai secondi fino a canapé e stuzzichini. Finalmente c’è una riscoperta di questi ottimi pesci”. Una conferma arrivata anche da Fish & Chef, la kermesse che ha riunito alcuni cuochi stellati sul Garda in nome dei pescati lacustri: qui Baiocco ha stupito con la Trota salmonata appena marinata, fegato d’anatra e tocchi d’acidità.
Altro lago, altro specialista nella cucina di pesce d’acqua dolce: il bistellato Marco Sacco del Piccolo Lago, affacciato sul Lago di Mergozzo, a Verbania: “Per mia passione e per la location del mio ristorante, da un po’ di anni mi sono specializzato in questo prodotto -spiega lo chef- Utilizzo tutti i pesci di acqua dolce, in base alla stagione che, naturalmente rispetta anche i divieti di pesca, dall’alborella, che è il pesce più piccolo, al luccio, che arriva anche a 10-15 chili, passando dal persico al coregone, al luccioperca, fino all’anguilla, che è probabilmente uno dei miei piatti fortunati”. Una ricetta antica che Sacco ha riadattato con tecniche moderne, partendo dalla cottura alla griglia su brace di faggio per arrivare a quella per otto ore nel modernissimo roner: “Il risultato è una carne aromatica e tenerissima che viene completata ed esaltata da una patata al limone, impanata a una polvere al peperone, per dare acidità, cremosità e dolcezza, e da un fondo di vitello agrumato con lime, arancia e limoni. A chiudere il piatto un’effervescenza: una caramella realizzata con acqua e zucchero e citrosodina, per sgrassare completamente la bocca da questo pesce importante, da abbinare a un rosso leggero e secco, come ad esempio un Gattinara”, racconta Sacco.
Bianco o rosso?
Proprio l’abbinamento pesce e vino è uno dei capitoli più interessanti, e spesso discussi, dell’enogastronomia. Tanti sono i parametri da tenere presente: dalla quantità dei grassi del pesce, al tipo di cottura, agli altri ingredienti presenti nella ricetta. Ma le regole generali sono semplici: con pesci grassi cotti alla griglia, al vapore o bolliti, si deve optare per bianchi delicati, non eccessivamente aspri e di media concentrazione alcolica; con i crostacei perfetti i bianchi aromatici, in particolare quelli del Trentino Alto Adige, con il loro caratteristico finale amarognolo che si bilancia alla dolcezza delle carni; per i fritti serve un vino dalle grandi capacità sgrassanti, come uno spumante metodo Classico o uno Champagne; rombo, sgombro, sarde e alici al forno richiedono dei bianchi opulenti o dei rosati decisi, perfetti anche per zuppe, guazzetti e caciucchi, con i quali comunque si può anche osare con dei rossi giovani e leggeri.
Sfatato dunque il preconcetto che solo il vino bianco vada bene con il pesce o si tratta di una nuova tendenza? “Parlare di tendenza è un azzardo, perché si è sempre bevuto rosso accompagnando la cernia, le crudité di mare o la pulcinella -spiega Bruno Federico, patron de La Caprese di Mozzo (Bg)- Vini naturalmente poco ricchi di tannini, dal gusto rotondo e con acidità che viene annullata dalla salsedine del pesce”. Alfonso Iaccarino del Don Alfonso 1890, a Sant’Agata sui due golfi (Na), ha qualche riserva con la spigola, ma segnala “il Polipetto affogato napoletano o, meglio, i Filetti di triglie al basilico con un Aglianico del Vulture”. Stessa sorte per il pesce di lago, con in primis l’anguilla che ama anche i rossi, non solo da Marco Sacco, ma anche da Carlo Brovelli del Sole di Ranco, a Ranco (Va), sul Lago Maggiore, che l’abbina anche al Dolcetto d’Alba, e la tinca da sposare a un Lagrein. Ma per gli altri pesci lacustri meglio il bianco: dal carpione, perfetto con Lugana o Chiaretto, alla trota con il Verdicchio, marchigiano; dal luccioperca con l’Albana di Romagna all’agone, ottimo con un bianco dell’Alto Lazio come l’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone. L’importante, consigliano i sommelier, è stare attenti alla temperatura di servizio, offrendo fresco anche il rosso.
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