N°151 Dicembre

68 Food&Beverage | dicembre 2023 Nella cucina atavica di Mater la natura delle sacre foreste CASENTINO Il misticismo dell’eremo di Camaldoli sembra entrare nei piatti dello chef Filippo Baroni, così legato al territorio da pensare a una camminata nei boschi prima di cenare nel suo ristorante. Per creare l’atmosfera e assaporare poi funghi, erbe dell’orto e la carne di cervo Elena Bianco Atavico è un termine ancora poco usato in cucina. E come tutti i termini dal significato un po’ estremo non va buttato lì a caso. Di certo bisogna contestualizzare parecchio per comprendere come e perché sia atavica la cucina di Filippo Baroni, giovane chef di Mater a Moggiona (Ar), sulla strada che porta all’eremo di Camaldoli. La Locanda i Tre Baroni, struttura di famiglia (i Tre Baroni sono i tre fratelli Filippo, Matteo e Andrea Baroni) dove Mater si trova, è nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Qui il misticismo degli eremi di La Verna e di Camaldoli sembra travalicare gli antichi muri dei romitaggi dei monaci per ammantare le colline circostanti. Muschi, faggi, radici, stagni dove i monaci allevavano le anguille, il sottobosco che profuma di erbe, fra licheni che parlano di gelo artico e ginepri che già sanno di Mediterraneo; a ogni passo s’inciampa in un fungo, spesso porcino. Un mondo ammaliante e misterioso, fatto di sprazzi di luce che riescono ad attraversare la vegetazione e nebbie bianche e vaporose che salgono lente a celare in parte il paesaggio. Sembrano lembi del vestito della Duchessa, gran dama infelice che qui morì congelata in attesa dell’amato; la sua leggenda ha battezzato un’antica fonte su un sentiero e la sua triste fine ha dato consistenza al suo fantasma che pare si aggiri come una caligine impalpabile. Questo, dunque, il contesto in cui ha iniziato a muovere i suoi passi di cuoco e a sperimentare Filippo Baroni: quello che mette nel piatto non può prescindere dalle foreste casentinesi, anzi. Questa natura sembra irrompere già nell’elegante sala dove il bancone è ricavato da radici contorte e gli ambienti sono separati da tronchi esili di giovani alberi. Le grandi vetrate creano un continuum interno/esterno con la foresta. Ad accogliere gli ospiti, il sorriso di Marta Bidi, la moglie di Filippo e uno staff tanto cordiale quanto di assoluta professionalità, quasi i loro gesti fossero il prolungamento del pensiero dello chef. Filippo parla silenzioso dalla cucina con i gesti rapidi e armoniosi del fare -lo si vede dall’ampia vetrata- con risultati di forza naturale, perché dalla natura arrivano direttamente. “Insieme a un esperto di erbe e funghi, vado frequentemente nei boschi a raccogliere quello che offrono, come per secoli hanno fatto i monaci di Camaldoli -racconta- È come immergersi in un mondo sospeso di colori, suoni, profumi”. Per questo consiglia caldamente, e forse creerà un pacchetto esperienziale apposito, una lunga camminata nel bosco, da farsi prima di andare a cena da lui. Così si ritroveranno le stesse sensazioni visive del verde, da quello scuro degli alberi a quello fluo del muschio. Si sentiranno profumi che si erano respirati, impalpabili e indefiniti, camminando fuori dai sentieri. Come quello di funghi che ritorna subito con un amuse bouche, il Cappuccino di zucca, dolce e cremoso, cosparso di polvere di porcino e di grifola frondosa dalle proprietà officinali. Vi si tuffa il cucchiaino e magari anche il pane ai grani antichi con lievito madre, che è servito insieme a un burro aromatizzato al rosmarino e polvere di limone nero, piacevolmente acido. Muschi e licheni che nelle faggete tingono di sfumature dal grigio polvere al verde acceso qualunque roccia o tronco, diventano una lacca profumata sulla trota, che viene da un progetto di acquacoltura a Mulin di Bucchio e vive nell’acqua pura delle sorgenti dell’Arno. Nel piatto è contornata dalle erbe e dai fiori dell’orto. Filippo Baroni, infatti, condivide la passione per l’orto con il suo barman, Lorenzo Ostrogovich, che cresce nasturzi e calendule, trifogli e tagete (ma anche pomodori rari, crucifere, carciofi, ecc...) con il principio: “Bisogna fare quel che è vero. Se lo tocchi troppo non è più vero”. Vero è che i suoi cocktail, frutto di prove alchimistiche di fermentazioni, estrazioni, tinture madri, sembrano essere nati per accompagnare i piatti dello chef. Senza nulla togliere alla sapiente selezione dei vini di Marta, la quale propone un abbinamento “monastico”, in tema con queste foreste sacre: il Sauvignon Praepositus dell’Abbazia di Novacella Anche il barman Lorenzo Ostrogovich trae da boschi e foreste le materie prime per i suoi cocktail: nasturzi e calendule, trifogli e tagete. I suoi drink ben si sposano anche alla cucina di Filippo Baroni che nasce nell’ambiente che circonda Mater, le sacre foreste casentinesi, sulla strada che porta all’Eremo di Camaldoli

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